CULTURA

Diwan bookstore al Cairo, un caso felice fra business ed etica

La fondatrice Nadia Wassef racconta la sua esperienza alla Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri
MARIA TERESA CARBONEegitto/ITALIA/venezia

Sono passati poco più di vent’anni da quando, nella primavera del 2002, Nadia Wassef con due socie (la sorella Hind e l’amica Nihal) ha aperto al Cairo la libreria internazionale Diwan con l’obiettivo – si legge nel sito – di «sostenere la conoscenza, la crescita e l’innovazione» e di «offrire libri di valore in diverse lingue per ogni età».
Da allora, la libreria è cresciuta e si è moltiplicata, gemmando una decina di filiali in tutto l’Egitto (alcune delle quali oggi chiuse), ma da qualche anno Wassef ha lasciato il paese e si è trasferita a Londra. L’amore per Diwan però non è venuto meno: lo testimonia il memoir in cui ha riversato con accattivante schiettezza il racconto della sua esperienza e delle sue vicende personali (La libraia del Cairo, traduzione di Bianca Bernardi, Garzanti 2021, al centro di una bella conversazione uscita su queste pagine), così come la sua disponibilità a prendere parte a iniziative che mettano in luce l’importanza delle librerie per il benessere sociale e culturale dei cittadini. È appunto in veste di testimone attiva che Wassef prenderà parte alla prima giornata del quarantesimo seminario della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, di nuovo in presenza a Venezia dopo la parentesi a distanza imposta dalla pandemia. Alla vigilia della manifestazione le abbiamo rivolto via zoom alcune domande.
Ripensando ai vent’anni di attività di Diwan, ci sono scelte di cui si è pentita, altre di cui si sente particolarmente orgogliosa?
Con il senno di poi, credo sarebbe stato meglio avere una libreria più piccola con una o due filiali al massimo: a causa delle dimensioni che a un certo punto Diwan ha acquisito, l’ossessione per far quadrare i conti è cresciuta tanto da farci quasi dimenticare il motivo per cui la nostra impresa era nata. A questo proposito ho appena letto un bel libro, In praise of good bookstores di Jeff Deutsch, che sottolinea come le librerie siano diverse rispetto agli altri esercizi commerciali, perché devono coniugare valore economico (worth) e valore morale (value). Sono però orgogliosa di avere aperto la libreria con le mie socie partendo dalla nostra passione e dalle nostre intuizioni: non avevamo una preparazione specifica, né un business plan, e certamente abbiamo commesso degli errori, ma abbiamo anche fatto tante cose giuste. Nel mondo contemporaneo c’è poco spazio per la spontaneità, il comandamento è di essere sempre efficienti e produttivi, eppure io credo che una chiave del successo di Diwan sia legata al fatto che non era tutto pianificato, che abbiamo saputo cogliere le occasioni quando si presentavano.
Se un giovane venisse da lei per chiederle consigli al momento di aprire una libreria, lo incoraggerebbe?
Penso che aprire una libreria sia sempre una buona idea. E a chiunque lo voglia fare e venga da me, giovane o vecchio, al Cairo o in ogni parte del mondo, dirò due cose: la prima è che ogni sogno ha un costo, ed è necessario avere chiaro di cosa si tratta, e la seconda è che in una libreria bisogna bilanciare i nobili ideali con l’ignobile realtà. Se sai queste due cose, puoi procedere senza problemi.
Le librerie indipendenti incontrano però grandi difficoltà in Italia, e non solo, soprattutto per la concorrenza di Amazon. Qual è il suo punto di vista?
La pandemia ha indotto moltissime persone a comprare online, e in parte l’abitudine è rimasta dopo la fine della crisi, ma il Covid ha solo accentuato un fenomeno presente da tempo. Vorrei però sottolineare due dati: da un lato, il libro è stato protetto dalla sua filiera molto più di quanto è avvenuto per la musica o i video; dall’altro, soprattutto negli ultimi anni, è emerso un forte bisogno di comunità. I lettori ne sono consapevoli e ci pensano al momento di acquistare un libro. Non a caso qui nel Regno Unito il 2022 è stato un anno eccezionale per le librerie, soprattutto le indipendenti, e anche al Cairo le difficoltà sono legate alla svalutazione, non a una disaffezione dei lettori. D’altra parte, è innegabile che i problemi economici esistono e che le librerie sono un servizio pubblico – insieme luoghi di commercio e di incontro culturale – da tutelare con azioni pubbliche, per esempio riguardo agli affitti. Ma non basta che a chiederle siano i librai: ad agire devono essere i lettori, formando un movimento attivo, non limitandosi a scrivere qualche bella frase sui social.
Quali sono i suoi progetti per il futuro – forse una libreria a Londra?
No, sono stata libraia al Cairo ed è un amore che durerà per sempre, ma adesso mi voglio dedicare alla scrittura. Attualmente sto raccogliendo storie di librerie intorno al mondo – come Savage Mind, a Bikol nelle Filippine, il cui fondatore e proprietario, Kristian Cordero, nato in seguito a un voto dei genitori, era stato destinato da loro alla chiesa, ma ha poi lasciato il seminario per diventare libraio, nonché poeta e traduttore. O come Iq, a Bishkek, la capitale del Kirghizistan, aperta da Aidai Maksatbekova, grande cultrice di grammatica russa, che intorno a questa sua passione ha raccolto una comunità di quasi 200mila persone su Instagram. Sono storie molto belle, che vale la pena conoscere.

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