CULTURA

Norme per uccidere: leggi razziali e Shoah

INDAGINI
GUIDO CALDIRONITALIA

L’ultima stagione del fascismo, che prese corpo tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945 nella Repubblica sociale italiana, vide realizzarsi un’intesa antiebraica «piena e totale» tra occupanti e occupati. In altre parole, al crepuscolo di un’esperienza che aveva dominato l’orizzonte del Paese fin dal 1922, vale a dire la fase cui si sarebbero ispirati in gran parte coloro che nel dopoguerra scelsero di tornare a farne brillare la fiamma nel contesto della «nuova» Repubblica, il fascismo (di Salò) «divenne un tassello del congegno genocida nazista, al quale i (neo)fascisti diedero il loro apporto determinante».
LA SOTTOLINEATURA, non certo marginale, del ruolo che i fascisti repubblichini svolsero, per altro non certo isolati nei territori che erano parte della Rsi, nella messa in opera del piano genocida elaborato dal Terzo reich, è contenuta nelle ultime pagine del prezioso volume che Roberto Calvo, professore ordinario di Diritto privato all’Università della Valle d’Aosta ha dedicato alle radici politico-legali della Shoah: L’ordinamento criminale della deportazione (Laterza, pp. 124, euro 16). L’autore ripercorre la genesi delle idee che in Germania e in Italia avrebbero condotto allo sterminio attraverso un complesso armamentario normativo che dopo aver stabilito per gli ebrei, e in parte anche per altre minoranze, una «legislazione speciale» - per il nostro Paese le cosiddette «leggi razziali del 1938 - che li separava dal resto della popolazione, privandoli progressivamente di ogni diritto, ne avrebbe reso possibile la deportazione e l’assassinio.
«Si è trattato - spiega Calvo - di un massacro organizzato dallo Stato, e quindi perpetrato sotto l’egida della legge scritta. Una legge illegale dal punto di vista del contenuto, ma pur sempre legge dotata di forza esteriormente vincolante».
NEL CASO ITALIANO, come è noto, «gli obiettivi politici della Rsi vennero definiti a Verona il 14 novembre 1943 in occasione del congresso del nuovo Partito fascista repubblicano. In quell’adunanza fu deliberato un manifesto nel quale si stabilì - al fine di enfatizzare la continuità con la svolta razziale del 1938 - che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”».
La «soluzione finale», cui l’Italia fascista avrebbe dato, come detto, il suo contributo nei mesi di Salò, era l’esito di un lungo cammino che, ricorda Calvo, traeva le proprie origini dal coniugare i miti razzisti diffusi già nell’Europa ottocentesca con l’idea che la società fosse una «comunità organica» dalla quale espellere gli elementi giudicati «alieni» e il «positivismo giuridico più rigoroso» che avrebbe offerto una legittimazione agli obiettivi totalitari dei regimi tedesco e italiano.

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