INTERNAZIONALE

In marcia verso Lima da tutto il Perù, oggi lo sciopero generale

Da ogni angolo del paese la protesta sfida lo stato d’emergenza. E la presidente Boluarte rispolvera la solita accusa: «Terroristi»
CLAUDIA FANTIperu

Sono partiti da Puno come eroi, tra applausi, lacrime e raccomandazioni, i circa settemila aymara diretti a Lima per la Marcha de los cuatro suyos e decisi a restarci finché le loro richieste non saranno ascoltate. Hanno viaggiato su autobus, macchine e camion e, in ogni località per cui sono passati, hanno ricevuto dalla popolazione locale aiuti di ogni tipo: acqua, pane, frutta, alimenti e persino denaro, perché possano resistere nella capitale tutto il tempo che sarà necessario. «Siamo grati per tutto l’affetto che ci hanno dimostrato ovunque», ha dichiarato il dirigente di Ilave José Colque Mamani. E ha assicurato: «Non li deluderemo, non torneremo finché Dina Boluarte non avrà rinunciato. Ci ha cancellato, umiliato. Ora conoscerà la forza degli aymara. La forza del popolo che lavora la terra».
PRIMA DI LORO, anche decine di studenti della Universidad Nacional del Altiplano erano partiti per Lima, per unirsi ai colleghi di altre università. Mentre è già arrivata a destinazione la delegazione di Andahuaylas, malgrado gli ostacoli posti dalla polizia, che l’ha fermata più volte, portandosi via diversi partecipanti. È così ovunque, da Apurímac a Cusco, da Ayacucho ad Arequipa: da ogni angolo del paese – da los cuatro suyos, appunto – i figli di Túpac Amaru si muovono in carovane verso la capitale, sfidando i blocchi della polizia e lo stato d’emergenza proclamato a Lima, Cusco, Callao e Puno da Dina Boluarte, la sesta presidente in sei anni, sempre più una marionetta nelle mani dell’oligarchia.
E MENTRE i rappresentanti di comunità e organizzazioni continuano ad arrivare, trovando riparo presso l’Universidad Nacional Mayor de San Marcos occupata ieri mattina dagli studenti, la Confederazione generale dei lavoratori (Cgtp), con il sostegno dell’Assemblea nazionale dei popoli, ha convocato per oggi uno sciopero generale, chiedendo le dimissioni di Boluarte ed elezioni generali immediate, accompagnate da un referendum sull’Assemblea costituente. La dittatura «civico-militare-imprenditoriale» che, come si legge nel comunicato della Cgtp, controlla il potere in Perù utilizzando Boluarte come parafulmine «si serve delle accuse di terrorismo e di separatismo contro la cittadinanza mobilitata nel sud del paese» per distogliere l’attenzione dal tema che conta davvero: il controllo delle risorse naturali e degli idrocarburi.
È la famigerata pratica del «terruqueo», quella che consiste nel trasformare tutti gli oppositori in terroristi, in un paese in cui sono ancora aperte le ferite provocate dal conflitto tra la guerriglia terrorista di Sendero Luminoso e la repressione cruenta dello Stato.
Così, per il governo e chi lo controlla, le proteste portate avanti soprattutto dalle comunità indigene e contadine del sud andino, la regione più povera e discriminata - ma anche da minatori, studenti, sindacati, comitati di quartiere, organizzazioni sociali, cittadini comuni -, sono tutte manipolate o direttamente organizzate da terroristi.
E LA RISPOSTA non si è fatta attendere: arresti indiscriminati, perquisizioni, fabbricazione di prove e un’inconcepibile violenza repressiva. Delle 50 vittime, non a caso, ben 42 sono state uccise da colpi di arma da fuoco sparati dalle forze dell’ordine, le quali hanno persino fatto uso, come nel massacro di Juliaca, dei proiettili chiamati hollow point (o dum dum), quelli che al momento dell’impatto si aprono per lacerare nel modo più devastante possibile.
È COSÌ FORTE l’impegno a criminalizzare le proteste che Boluarte ha persino denunciato l’invio ai manifestanti di fucili e munizioni da parte dell’organizzazione boliviana dei ponchos rojos (che la presidente riconduce a Evo Morales). Un’accusa senza fondamento e senza logica, considerando che non un solo poliziotto è stato ucciso o ferito da armi da fuoco e che in ogni scontro tra manifestanti e forze dell’ordine si è ripetuto lo stesso scenario: proiettili contro pietre.

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