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Malinconia: sciagura o grande chance?

In una parola
ALBERTO LEISSgermania/italia

Scrisse il buon Kierkegaard: “Mi par d’essere un galeotto incatenato alla morte; ogni qual volta la vita si muove, la catena stride, e la morte fa appassire ogni cosa - e questo accade a ogni istante…”.
E ancora: “È un martirio tremendo, la totale impotenza spirituale di cui attualmente soffro, proprio perché congiunta a una nostalgia divorante, a un bruciante ardore di spirito, e tuttavia così vaga e informe che non so io stesso che cosa mi manchi”.
Ma anche: “…mi sentii in uno stato insolito di benessere…avevo toccato il vertice più alto, e presentivo quel massimo che dà le vertigini e che non si trova registrato su nessuno termometro del benessere, nemmeno su quello poetico. Il corpo non aveva più il suo peso terrestre… Ogni nota mi si componeva nell’anima in melodia… ogni pensiero mi si profferiva con gioia beata, la più pazza delle trovate non meno che la più ricca delle idee…Tutta l’esistenza era, come dire, innamorata di me”.
Giorni fa ho trovato citato da qualche parte - ahimè non ricordo dove e da chi - il libretto di Romano Guardini, il grande teologo italo tedesco, intitolato Ritratto della malinconia. Un testo del 1928 tradotto in italiano nel 1952 da Romana Guarneri, storica e esperta di mistica e teologia, e ripubblicato più volte sino all’ultima edizione lo scorso settembre. Con una struttura singolare: le prime 30 pagine, su un totale di 80, sono un’antologia di citazioni del malinconico filosofo danese, il resto considerazioni dell’autore. In un certo senso speculari. Le citazioni di Kierkegaard vanno dalle descrizioni del cupo suo malessere, alle improvvise illuminazioni benefiche, fino al suo modo di vivere Dio e il Cristianesimo. Guardini segue un simile procedimento. Dal tormento autodistruttivo al convincimento che “la grandezza, la grandezza vera, grandezza totale, non è possibile senza quella pressione, soltanto la quale conferisce un peso alle singole cose, e potenzia le forze tutte allo sforzo finale…”. Perché “malinconia vuol dire connessione con l’oscuro fondo dell’essere - e “oscuro”, in questa accezione, non comporta senso peggiorativo. Non significa contrasto con la luce, la quale è bella e buona… Verso l’oscurità tende nostalgicamente la malinconia, ben sapendo che dal seno di lei le sorgeranno innanzi le figure luminose del presente”.
Naturalmente per il sacerdote e teologo da qui passa il tramite per l’assoluto, e la relazione di differenza e di vicinanza con Dio.
Guardini non parla in prima persona come Kierkegaard, si esprime oggettivamente, ma noi sappiamo che soffrì per tutta la vita di gravi forme depressive. La liturgia e la ricerca spirituale e teologica, l’insegnamento - scrive qualche biografo - furono la sua cura.
Non so se pensieri e biografie così, diciamo, importanti e ingombranti, possano essere utili riferimenti per affrontare quella “malinconia sociale” che secondo il Censis affliggerebbe oggi il paese (e probabilmente non solo il nostro). Si dice, con dati del Consiglio superiore della sanità, che circa 17 milioni di concittadini, per lo più minori, adolescenti e donne, hanno sofferto o soffrono di disturbi mentali dopo aver subito le clausure obbligatorie per il Covid.
Sul Corriere della Sera Nando Pagnoncelli commentando un sondaggio ha citato anche la malinconia degli italiani. Il rimedio “terapeutico” suggerito starebbe nell’attuazione del famoso Pnrr. Con tutta la stima, forse meglio meditare sul libretto di Guardini. O ancora meglio avere le cure e l’assistenza necessarie. E ancor di più pensare e agire per cambiare tutto quello che non è andato, non va, e non andrà, magari anche cose previste dal magico piano europeo.

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