CULTURA

Guido Strazza, cent’anni di segni fra alchimia e realtà

ISTITUTO CENTRALE PER LA CALCOGRAFIA
ARIANNA DI GENOVAITALIA/ROMA

«Non mi sembra di interesse attuale, con i metodi meccanici di riproduzione di cui oggi disponiamo, ricercare come sommo pregio della stampa calcografica la sua perfetta riproducibilità. Piuttosto, mi pare interessante usarla liberamente come un qualunque mezzo di espressione, rispettando solo quei limiti che le sue caratteristiche impongono». Scriveva così Guido Strazza nelle sue Note tecniche, confermando un’autonomia di linguaggio della pratica incisoria cui il maestro è sempre rimasto fedele nei decenni.
ALLORA, «L’INTENZIONE SEGRETA e vera di chi fa segni non è quella di organizzarli per rappresentare qualcosa, ma per farli essere qualcosa». Soprattutto, un campo aperto di provocazioni e sfide, da lanciare in un laboratorio alchemico dove le lastre prendono vita con carta vetrata, acquatinta spennellata, bulino, incertezze che fermentano, errori improvvisi e rivelatori. Così, equilibrio e squilibrio, luce e colore, notte e giorno, spessore fisico e tocco magico di impronte invisibili si susseguono sulle sue matrici, dando origine a universi paralleli in cui foglie, piante, motivi geometrici, insetti, obelischi e graffiti murali tessono reti immaginarie, un tracciato di antichi e nuovi itinerari ad uso e consumo della meraviglia.
Mai pregiudiziale, sperimentatore indomito, Guido Strazza dall’alto dei suoi cento anni (è nato a Santa Fiora, in provincia di Grosseto, nel 1922) sovrintende a quel prendere forma della materia che agisce una continua «estasi» (nel senso in cui la intendeva il regista Ejzenštejn, come una ininterrotta uscita da sé). Una interferenza nella temporalità quotidiana che favorisce inghiottimenti spaziali e affioramenti di memorie.
In occasione del suo compleanno, l’Istituto centrale per la grafica guidato da Maura Picciau (luogo «abitato» dall’artista per oltre cinquant’anni e al quale ha donato un importante e cospicuo corpus di opere che supera il migliaio, un vero e proprio patrimonio storico) gli rende omaggio stampando una cartella di incisioni tratte da una selezione di matrici originali presenti nelle collezioni (una scatola le raccoglie con la poesia A la mano del poeta Rafael Alberti: i testi sono stati composti con i caratteri mobili Narciso).
PER COMPLETARE la «dedica» e onorare al meglio il traguardo del secolo, è stata allestita ottimamente anche la preziosa mostra Strazza/Cento (visitabile fino al 26 febbraio e a cura di Luisa De Marinis, Ilaria Fiumi Sermattei, Giorgio Marini) che espone alcune matrici e circa sessanta lavori realizzati fra il 1974 e il 2015 (parte di questi fogli risalgono al periodo dell’insegnamento dell’autore presso la Calcografia).
Essenziale eppure profondamente emozionale, la rassegna testimonia un pullulare di tecniche dettate da una vulcanica curiosità conoscitiva, che ha portato Strazza a indagare i motivi ornamentali delle famiglie di marmorari romani medioevali (dai Cosmati ai Vassalletto) così come le intuizioni filosofiche sui colori di Goethe, che l’artista ha esplorato fin dagli anni 60 per inventare cromie e tracce inedite.
Per chi poi volesse proseguire con il viaggio intorno al mondo dell’incisione, fino al 16 gennaio l’Accademia di Belle Arti di Roma accoglie un’altra mostra antologica dal titolo Guido Strazza. Il gesto e il segno (a cura di Gianluca Murasecchi, catalogo De Luca), che comprende anche trenta suoi dipinti.

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