COMMENTO

L’antifascismo va praticato, non proclamato

Le ragioni dell’appello
LUCIANA CASTELLINAITALIA/ROMA

L’aspetto più mortificante dell’attuale momento politico (dico «momento», ma ahimè è già un tempo assai più lungo) è l’uso che si sta facendo di un bene pur prezioso nella storia italiana recente: l’antifascismo. Proprio l’antifascismo è stato l’esempio di come sia necessario nei momenti difficili riconoscere il nemico principale da quello secondario (lo sosteneva anche Lenin che se ne intendeva ). E fu per questo che Churchill fini per collaborare con Stalin all’inizio della seconda guerra mondiale, e che il Pci si alleò con il Partito liberale nel dar vita al CLN, il Comitato di liberazione nazionale, che non fu solo il nome di un fronte militare, ma persino di un governo subito dopo la Liberazione. Mentre l’appello retorico all’antifascismo dilaga, si moltiplicano infatti gli annunci che ne ammazzano il significato.
Quello di Calenda che dice: «Io con quelli mai»; di Letta che contro la politica del governo di chi ha tutt’ora appesi in casa i ritratti di Mussolini si fa le manifestazioni da solo invece di collaborare a farle assieme alle forze che quel ritratto non ce l’hanno mai avuto; di Conte - e questo mi dispiace particolarmente perché gli riconosco il merito di avere spostato i suoi 5 Stelle da una confusa protesta a una maturazione politica positiva - che ha scelto di fare dell’inceneritore, che anche a me non piace, la questione decisiva per non accettare il «fronte largo». Con un po’ di buona volontà si sarebbe, io credo, potuto trovare il modo di lasciar aperto in merito un confronto. (Togliatti capì che occorreva non impuntarsi all’epoca del CLN neppure sulla questione monarchia e repubblica !).
La scelta di lasciar perdere ogni serio sforzo in favore di un «campo largo» per le elezioni regionali appare grave non solo perché ridicolizza ogni enfatica dichiarazione di antifascismo, ma anche perché ha conseguenze politiche più immediate: presentare nel Lazio un’alleanza che include anche Calenda e Renzi quando invece questi signori a Milano hanno scelto di stare con la Moratti, non può che indebolire e isolare la coraggiosa impresa di Majorino e, contemporaneamente di rendere l’accordo laziale più politicamente segnato dalla cosiddetta terza forza, certo non un «campo largo». Non solo: sarà difficile per chi sta sabotando temo fatalmente il «campo largo» a Roma spiegare agli elettori perché proprio nel Lazio, dove questo campo aveva partorito una giunta in cui finalmente c’era il Pd ma anche i 5 Stelle, e che aveva ben operato, adesso non si può più fare. Perché Zingaretti che l’aveva costruita tace, così rinnegando una delle poche cose buone che si sono sperimentate in questi brutti tempi?
Io non ho grande fiducia negli appelli perché temo che quelli pur buoni nelle intenzioni diventino «appellatori» senza sapere a chi si appellano e smettano di essere militanti, che è assai più importante sia pur più faticoso di mettere una firma sul computer. In questo caso, tuttavia, credo che l’appello proposto da un gruppo di persone ben intenzionate il cui testo è stato pubblicato ieri da il manifesto possa essere utile. Si rivolge infatti a uno specifico settore dell’opinione pubblica e non a imprecisate autorità: si rivolge agli antifascisti. Che sono ancora molti e hanno ciascuno un riferimento politico che potrebbe operare una scelta anche se siamo in grave ritardo. Per questo credo vada firmato, diffuso, e che ognuno che firma debba «impegnarsi a impegnare» i referenti politici a lei/lui più vicini a muoversi. Oggi si tratta solo del Lazio, ma lasciar passare questa prova avendo ammazzato l’antifascismo, perdipiù dopo l’avvento del governo Meloni di destra estrema-destra, potrebbe avere domani, a fronte di scelte ben più importanti di quella di una giunta regionale, conseguenze molto più gravi.

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