VISIONI

«The Patient», l’impossibilità di mettersi al posto di un altro

Uno psicanalista e un serial killer per scardinare le regole del genere
MAZZINO MONTINARIUSA

Un uomo in una stanza. Non è un incubo da cui fuggire svegliandosi. Al contrario, quando ha aperto gli occhi, si è reso conto di essere entrato in qualcosa di terrificante. È in preda al panico, urla disperatamente in cerca d'aiuto. Ha un piede bloccato da una catena che gli permette un movimento minimo di pochi metri. Fuori dalla finestra non sembra esservi un alleato che possa riportarlo alla vita di sempre. Si agita ancora, la speranza è che prima o poi un passante ascolti il suo grido. Finalmente entra una persona. È un volto che riconosce. Appena parla comprende che quel tipo non è un amico, un complice inaspettato. Anzi, gli suggerisce di tacere, tanto nessuno lo sentirà. La casa è in mezzo a un bosco lontano da tutto. E poi lo tranquillizza, assicurandogli che non gli farà del male, almeno nell'immediato.
IL PRIGIONIERO è uno psicoterapeuta, il dottor Alan Strauss. Ebreo, autore di celebri libri (in un certo senso, la causa per cui si è trasformato in preda), vedovo da non molto, una figlia con la quale ha un buon rapporto, un figlio che ha scelto l'ortodossia e che per questo si è allontanato dalla famiglia in modo traumatico. Il carceriere, Sam Fortner, è più giovane, lavora nel settore alimentare eseguendo controlli di qualità tra i vari esercizi di ristorazione. La cosa più importante è che Sam, fino a qualche giorno prima un paziente regolare di Alan, è un serial killer, vessato da suo padre e in preda a un impulso omicida che lo porta a uccidere chi lo tratta sgarbatamente. Ora, però, è deciso a guarire, a «intensificare» la terapia, per non far più del male alle persone.
Visibile su Disney+, The Patient è una storia apparentemente semplice, due co-protagonisti, una stanza e qualche variazione sul tema, ad esempio la madre che vive al piano di sopra e che oggi come ieri subisce gli eventi senza reagire. In realtà, è un prodotto raffinato e complesso perché si addentra nelle profondità dell'umano, tra numerose asperità, affrontando orrori e paure, mistificazioni e rimozioni senza soluzioni accomodanti, attingendo alla storia (è citato Viktor Emil Frankl, psichiatra e filosofo sopravvissuto ai campi di concentramento) e alla cronaca (con un riferimento a Edmund Kemper, il killer delle studentesse che agì negli anni Settanta).
JOEL FIELDS e Joseph Weisberg, noti per quel capolavoro che è stato The Americans, hanno creato in dieci puntate una serie nella quale si scardina il genere dell'assassino seriale, mettendo fuori campo le oramai usurate indagini condotte da profiler e agenti molto affini ai predatori ma in possesso di una morale. E smontando l'idea che il male sia l'opera di un genio in grado di tenere sotto controllo gli eventi. Non sono presenti poliziotti e avvocati, solo due uomini a un passo dal baratro, o forse spinti già oltre il dirupo, in attesa di capire se il vuoto avrà una fine.
The Patient racconta, perciò, il percorso che quelle due figure hanno compiuto per arrivare a quel punto. Se Alan (Steve Carell) è in quella stanza, lo deve a Sam (Domhnall Gleeson). Non ha certo scelto di essere prigioniero. Tuttavia, quando i due si trovano seduti uno di fronte all'altro, ha inizio una doppia cura. Nel tentativo impossibile di comprendere i demoni del suo «paziente», il terapeuta è costretto a un confronto serrato con la propria esistenza, con quello che è accaduto prima di trovarsi privato della libertà.
Il filo sottile che unisce Alan a Sam non è quello del perdono, e come potrebbe esserlo? È, invece, l'empatia, la ricerca, forse vana, del sapersi mettere al posto degli altri. Una capacità che ricorda una delle tre massime del sensus communis della Critica della facoltà di giudizio di Kant. Assumere il punto di vista dell'altro. È questa la lotta estrema che combattono i due personaggi. E non solo loro.

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