VISIONI

Nell’universo millefoglie targato Rocco Tanica

Un libro scritto a quattro mani con Out0mat-B13, pseudonimo dell’algoritmo di scrittura Gpt-3
FRANCESCO BRUSCOITALIA

Intelligenza artificiale al servizio di una naturalissima demenzialità. Potrebbe essere la recensione minima di Non siamo mai stati sulla Terra (Il Saggiatore), primo libro scritto da un essere umano e un software basato sull’IA. È l’ultimo colpo di genio di Rocco Tanica, egregiamente assistito da Out0mat-B13, pseudonimo dell’algoritmo di scrittura Gpt-3.
«Mi ero già interessato all’IA ai primordi delle applicazioni a tema, già promettenti ma ancora inattendibili» esordisce l’autore. «Un giorno, vagando sui social alla ricerca di gadget tecnologici ho scoperto Gpt-3, una cosiddetta rete neurale che simula i meccanismi di comportamento del cervello umano, un enorme passo in avanti. Ho fatto la prova gratuita, e al primo tentativo ho detto: questo deve essere un libro, il primo scritto con questo sistema!».
Che, per quanto complesso, fa presto a spiegare: «Gpt-3 si orienta all’interno di un testo ed è in grado di apprendere dagli esempi (vocaboli, aggettivi, espressioni ricorrenti). Fa un calcolo probabilistico, è istruito per rispondere a tono agli stimoli. Se scrivi: “mi sono alzato, ho visto il cielo azzurro e…” è più probabile che ti dica “le nuvole bianche e vaporose” che non “i trattori ingolfati”. La piattaforma che ho utilizzato è ShortlyAI, mi sembrava la migliore per produrre letteratura. Il sistema tiene conto dei 3500 caratteri precedenti, che ho utilizzato per creare quelli che chiamo “habitat letterari”. Ad esempio, riversandoci una raccolta di haiku la macchina ha capito che doveva creare composizioni di tre versi, con particolari argomenti di riferimento… la natura, la sorgente, queste cose qui».
I RISULTATI, oltre che sorprendenti, sono esilaranti. Si veda l’impareggiabile definizione di poesia coniata da Out0mat-B13: “il risultato di un disturbo della personalità che induce l’autore, solitamente un mentecatto, a incolonnare frasi di lunghezza variabile”. Rocco ci ride ancora, sottolineando che è stata tra le poche risposte già perfette al primo colpo: «Ma anche la maledizione egizia “sai di faraone” non è male».
La sintonia stilistica tra autore umano e intelligenza artificiale si nutre inoltre di fonti narrative che finiscono per creare influenze comuni. Tanica cita Calvino, Buzzati, Emily Dickinson e soprattutto il surrealista russo Daniil Charms. «Ho cercato di mettere in campo gli stili, gli argomenti che meglio conoscevo, ma ho anche sperimentato molto».
Sperimentazione letteraria che ha la stessa matrice di quella musicale, con frammentazione e ricostruzione del linguaggio di stampo postmoderno. «Sono solo scemo di natura! Ma se devo definirlo, il mio tentativo è creare una torta multistrato. Tutto parte dalla musica degli Elio e le Storie Tese, sempre leggibile in modo diverso a seconda del punto di ascolto. La prima volta ti colpisce perché è orecchiabile, la seconda scopri che c’è un gioco di parole, la terza capisci che quel gioco di parole è una sciarada enigmistica, la quarta noti che il basso omaggia un pezzo di Marvin Gaye… è accaduto con gli EelST, l’ho fatto in questo libro, lo faccio su Instagram. Più che postmoderno, direi millefoglie».
NON A CASO, è prodigo di apprezzamenti per Lundini, anch’egli capace di unire contenuti letterari, musicali e di spettacolo, e ribadisce l’indignazione per il trattamento subìto da Luttazzi: «Un gioco al massacro perpetrato da persone prive di talento con il pretesto delle battute copiate, che pure esistono, ma sono irrilevanti rispetto a migliaia di pagine originali che hanno fatto scuola». Ma se deve scegliere un maestro, il nome è quello di Maurizio Milani. «Lo ricordo sin dai primi mesi dello Zelig, metà sala morta dalle risate, l’altra attonita. Il surrealismo che diventa pane quotidiano, i Monty Python che incontrano Don Camillo nella bassa padana. È il numero uno incontestabile».
Parlando di vecchi maestri, gli chiedo un ricordo di Carmelo La Bionda, di cui fu apprendista in studio di registrazione agli esordi, in un’altra epoca di tecnologie in pieno sviluppo: «Assieme a suo fratello Michelangelo era un’eccezione in un mondo di squali come quello dell’industria discografica. Da lui ho imparato la via più semplice tra un’idea musicale e la sua realizzazione. Erano anni in cui già ci si complicava la vita con la tecnologia, che però dovevi apprendere a fondo prima di dominarla e utilizzarla appieno. Oggi la facilità d’uso fa credere a chiunque di essere un produttore musicale».
UNA DEMOCRATIZZAZIONE dell’utilizzo, ma non della competenza. Non ci sarà il rischio che anche il suo Out0mat-B13 si convinca di essere senziente e intraprenda la carriera solista? «È possibile. Però se scrive un libro senza di me, si ricordi degli amici, perché io comunque ho pagato l’abbonamento al sito, ci ho messo la corrente. Almeno una citazione a fine libro la gradirei».

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