VISIONI

«Fairytale», la fiaba ironica e amara di Aleksandr Sokurov

Grandiosa opera sperimentale e filosofica, realizzata con ricerche negli archivi cinematografici mondiali
SILVANA SILVESTRIbelgio/russia

«Prima di vedere il mio film», raccomandava Aleksandr Sokurov, «non fantasticate, non immaginate niente». Infatti Fairytale (titolo originale Skarka) è un’opera imprevedibile, un film di Natale per spettatori spericolati.
ANIMAZIONE fantasy è il genere sotto cui è catalogato: è una fiaba crudele e come tutte le fiabe sottintende atrocità che si vogliono cancellare, in questo caso quelle del secolo scorso tra forni, razzismo, colonialismo e guerre e i loro principali artefici, Hitler, Stalin, Mussolini e Churchill, i protagonisti della recente storia dell’Europa. Le tracce di quegli eventi non possono essere già scomparse così presto, le conseguenze sono ancora tra noi, le imitazioni spuntano nuovamente e non sotto forma di farsa.
Studioso di arte e storia Sokurov come cineasta ha realizzato il sogno di risvegliare dal sonno eterno il quartetto dei protagonisti della seconda guerra mondiale con parecchi conti da regolare con la loro coscienza. Non c’è però traccia di inferno in quel paesaggio dalle luci opalescenti che avvolge anche lo spettatore tra la fragilità d i tronchi millenari e maestosi ruderi antichi degni di regnanti, ma evanescenti.
Sokurov ha costruito un mondo parallelo che convive con il nostro nella profondità di un inconscio collettivo che li ha ridotti a larve. Vagano per quella landa desolata piuttosto a loro agio, spazientiti perché dio non apre loro i cancelli del cielo, scambiandosi una serie di impertinenze, come il segno V che Churchill continua mostrare a un Hitler nevrastenico pronto a perdere continuamente le staffe sotto lo sguardo mefistofelico di Stalin, nella più tranquilla nonchalance di Mussolini che con sguardo fatuo considera il taglio delle divise dei suoi compagni.
Non si tratta di una ricostruzione digitale, dei personaggi (e neanche olografica, come negli anni ’90 proprio uno scienziato russo aveva ventilato sarebbe stato il futuro del cinema), ma di un lungo lavoro di ricerca nelle cineteche di tutto il mondo dove ogni espressione del viso, gesto, smorfia, postura di quei quattro personaggi è stata ritagliata e ricomposta. Dalla grande quantità di documentari storici relativi alla Seconda guerra mondiale (che costituiscono il picco di ascolti delle tv), il regista ha realizzato un impressionante lavoro di montaggio che nell’insieme rende i quattro personaggi simili ad alienati vaganti nel parco di una clinica psichiatrica. Infatti non manca neanche Napoleone, già accolto oltre i cancelli divini, forse per decorrenza termini. Ognuno parla la sua lingua (georgiano e russo, tedesco, inglese, italiano) come in un tavolo di trattative dove ciascuno pensa di essere più scaltro degli altri (e qualcuno lo è).
Sotto di loro, folle oceaniche ridotte a ondate indistinte e minacciose appaiono come monito a non lasciarsi più manipolare, lavorando in un crescendo drammatico, sul rapporto tra leader e masse.
UN FILM dall’andamento solenne pieno di humour, non fosse che già almeno due di loro si prefiggono di tornare - indovinare quali - così affermano («è tempo di tornare») e non possiamo non crederlo, vista l’attualità: «Io non sono morto né mai morirò» sostiene Stalin che si sveglia nel suo feretro già a inizio film, posizionato accanto a un Cristo morente e incapace di risorgere poiché dio non lo ha ancora chiamato a sé. Anche perché forse non c’è nessun giudizio universale, ma solo silenzio e larve che ricordano.
«Striscia da tuo padre e lui ti guarirà» gli sussurra Stalin sbeffeggiandolo come i soldati ai piedi della croce. Le porte dell’inferno non si sono ancora aperte - forse neanche c’è l’inferno - vagano i responsabili di milioni di morti, a volte si sdoppiano, come a moltiplicare le sciagure. Sicuramente continuano a vagare nelle cineteche di tutto il mondo fissati per sempre nei loro gesti al proprio destino.

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