EUROPA

La signora Panzeri consegnata al Belgio

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI BRESCIA
MARINA DELLA CROCEqatar/belgio/italia/brescia

La prima sezione della corte d'appello di Brescia ha deciso ieri poco prima delle 20: Maria Dolores Colleoni, moglie dell'ex eurodeputato del gruppo dei Sociali e democratici D Pier Antonio Panzeri arrestato a Bruxelles con le accuse di corruzione e riciclaggio, sarà consegnata al Belgio. Il collegio presieduto dal giudice Francesco Nappo ha accolto la richiesta del pg Giovanni Benelli, dopo cinque ore di camera di consiglio. Per la giustizia belga l'ex europarlamentare del Pd e poi di Articolo 1 è componente di «un'organizzazione criminale» che sarebbe finanziata da Marocco e Qatar, e la moglie (come la figlia Silvia la cui udienza di consegna è domani presso un'altra sezione dello stesso tribunale) sarebbe «pienamente consapevole delle attività» del marito e viene sospettata «persino di partecipare nel trasporto dei 'regali' dati al Marocco da A.A., ambasciatore del Marocco in Polonia», secondo la ricostruzione che era stata formulata dal giudice belga Michel Claise ai colleghi italiani. Per i quali i presupposti su cui si fonda il provvedimento non ostacolano il trasferimento chiesto dai magistrati di Bruxelles. A patto che, si apprende, «qualora la signora dovesse essere condannata definitivamente, espierà la pena e/o la misura di sicurezza in Italia».
La donna è accusata di concorso in associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio. Il mandato di arresto europeo era stato eseguito e convertito in detenzione domiciliare lo scorso 9 dicembre dai carabinieri nell'abitazione della famiglia Panzeri a Calusco d'Adda dove sono stati trovati 17 mila euro e orologi di valore. Gli avvocati di Colleoni sintetizzano così la sua linea difensiva: «Non è a conoscenza degli affari del marito, non ha mai fatto vacanze da 100 mila euro». Prima che la decisione sia esecutiva, hanno cinque giorni per presentare ricorso in Cassazione.
Intanto, si apprende che la Procura a Milano al momento non ha ancora aperta un'inchiesta autonoma. Cosa che potrebbe avvenire nei prossimi giorni, sulla base di ulteriori atti che potrebbero arrivare dal Belgio e per verificare alcuni passaggi di denaro collaterali al ceppo principale (o magari tentativi di riciclaggio).
Sempre ieri, il segretario della Confederazione internazionale dei sindacati Luca Visintini (nei giorni scorsi fermato e rilasciato dai giudici di Bruxelles) ha fornito la sua prima versione dei fatti in una nota. Sostiene di aver ricevuto una donazione da Fight Impunity, per un importo totale inferiore a 50 mila euro che dovevano servire a «rimborsare alcuni costi della mia campagna per il congresso della Confederazione, e in denaro sotto forma di donazione che ho trasferito come tale al Fondo di solidarietà che serve per sostenere i costi di viaggio al Congresso per i sindacati».
«Non mi è stato chiesto, né ho chiesto nulla in cambio del denaro e non sono state poste condizioni di alcun tipo per questa donazione», dice ancora Visintini. Il quale sostiene di aver «partecipato come relatore a alcune conferenze organizzate da Fight Impunity sui diritti umani in generale, senza alcun legame con il Qatar o con altri aspetti coinvolti nell'indagine» e di aver «contribuito al Rapporto annuale sui diritti umani del 2022, pubblicato da Fight Impunity» senza «alcun compenso». Fight Impunity, è la sua versione, «era una Ong rispettata che agiva in difesa dei diritti umani, con diverse personalità di alto livello nel suo consiglio di amministrazione». Dunque cita il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, l'ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve ed Emma Bonino. Visintini sottolinea che sia la Confederazione internazionale dei sindacati che Confederazione europea dei sindacati «non sono coinvolte in alcun modo nell'indagine in corso e la mia massima preoccupazione è quella di assicurarmi che l'indipendenza, la responsabilità e la reputazione di queste organizzazioni e dell'intero movimento sindacale siano debitamente tutelate». Il sindacalista assicura che farà di tutto «per proteggere la reputazione e l'indipendenza del movimento sindacale globale. Anche per questo, prosegue, «fino a quando questo processo non sarà concluso, sono pronto a rimanere lontano dalla posizione» di segretario generale, e allo stesso tempo si dice «a disposizione della Confederazione per fornire qualsiasi ulteriore chiarimento necessario».

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