POLITICA

Appalti, la deregulation indigna: «Nefandezza», «favorisce la mafia»

CONTRO IL SUBAPPALTO A CASCATA E GLI AFFIDAMENTI DIRETTI
MARIO PIERROITALIA/ROMA

Ci sarà tempo entro fine marzo per l’approvazione definitiva del nuovo codice appalti, così almeno sperano nel governo Meloni, ma le reazioni al varo di una pesante «deregulation» giustificata in nome del sacro Graal del «ce lo chiede l’Europa altrimenti ci taglia i fondi del Pnrr» fanno intuire i possibili effetti devastanti del decreto.
Alla ricerca di un senso alla sua storia il Pd ieri ha cercato di scuotersi rilanciando una battaglia contro gli affidamenti diretti e i subappalti a cascata disposti dal governo Meloni. «Cancellare il limite ai subappalti favorirà la mafia - ha detto l’ex ministro del lavoro Andrea Orlando - Se fai una catena del subappalto infinita come fai a controllare, in un paese nel quale i poteri criminali sono diventati un pezzo dell’economia reale? Questo è un tema sul quale è meglio l’esercizio provvisorio che far entrare la mafia nei nostri appalti». «L’aumento fino a 500 mila euro del tetto per gli affidamenti diretti - ha aggiunto Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo Pd - è una scelta sbagliata e pericolosa. Salvini fa propaganda affermando che così l’80% degli appalti avverrà per affidamento diretto senza gara. Senza capire a cosa potrebbe portare in mancanza di trasparenza e meno garanzie di qualità delle opere e senza garanzie sui tempi». A poche ore dal varo del provvedimento il segretario della Fillea Cgil Alessandro Genovesi ha parlato di «nefandezze» derivanti dal «subappalto a cascata». «Da domani - sostiene - assisteremo ad una frammentazione dei cicli produttivi, al massimo incentivo possibile al nanismo aziendale, alla nascita di imprese senza dipendenti. Le aziende prenderanno lavori pubblici in subappalto, per poi subappaltare ad altre aziende che a loro volta subappalteranno, teoricamente all’infinito. Aumenteranno zone grigie, infortuni, sfruttamento e rischi di infiltrazione criminale».
A completare il quadro dei possibili effetti di una «deregulation», non nuova in realtà e più volte cercata in 20 anni e finalmente ottenuta, il giudizio di Libera che parla di provvedimento «criminogeno». «La generalizzazione dell’appalto "integrato" che sovrappone la progettazione e l’esecuzione dell’opera in capo al medesimo soggetto privato induce una pericolosa commistione di ruoli e una concentrazione di poteri nelle mani sbagliate, svilendo il ruolo pubblico di programmazione e supervisione». «Torna in auge inoltre l’aggiudicazione sulla base del criterio del prezzo più basso, è un meccanismo perverso che tende a deresponsabilizzare le stazioni appaltanti e a incentivare le imprese a recuperare gli "sconti" effettuati attraverso varianti d’opera, accordi collusivi, scarsa qualità di materiali e prestazioni, risparmiando sulla sicurezza dei lavoratori». E poi c’è il «depotenziamento del ruolo dell’autorità anti-corruzione Anac «nel controllo dei conflitti di interesse dei funzionari e nelle verifiche sulla qualificazione delle imprese». Proprio l’Anac, il 15 dicembre scorso, aveva criticato la bozza messo a punto dal Consiglio di Stato come richiesto dal governo Draghi e poi approvata da quello Meloni. Tra l’altro Anac ha osservato che c’è «un allentamento delle misure sul conflitto di interessi, il ridimensionamento della «prevenzione della corruzione» e l’eliminazione delle società «in house» sulle quale l’agenzia esercita un controllo.
A questo fuoco di fila di critiche impietose ieri Salvini, da ministro delle infrastrutture, ha rimesso in moto il solito disco del «liberalizzatore», ruolo popolare da Berlusconi a Renzi e molti altri. Ha definito «ideologiche» le critiche della Cgil. Nulla ha avvertito delle conseguenze della propria ideologia.

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