CULTURA

Umberto Romagnoli, il «prof» amico del sindacato

Addio a 87 anni al giuslavorista bolognese, studioso che si è battuto con la Fiom per i diritti dei lavoratori
MASSIMO FRANCHIITALIA/bologna

Etica, acume e ironia. Umberto Romagnoli se n’è andato a 87 anni nel giorno in cui la Fiom di Bologna ha concluso il suo congresso. Una coincidenza che non può essere casuale.
Il «professore» da tempo era malato ma dalla sua casa del centro non aveva smesso di dare il suo contributo al sindacato con cui aveva tanto collaborato.
SE IL DIRITTO DEL LAVORO in Italia perde uno dei suoi più grandi pensatori e demiurghi, la Fiom (e la Cgil) perdono un amico prezioso, sempre vicino ai lavoratori.
Memorabile fu il suo impegno nella battaglia contro la «rivoluzione» di Marchionne e il cosiddetto «modello Pomigliano»: il «ricatto» che scambiava «la speranza di un posto di lavoro» con «la rinuncia a diritti fondametali come quello di sciopero». Un impegno che lo legò strettamente a Maurizio Landini con cui impostò la strategia giuridica che portò alla vittoria in Corte costituzionale e al ritorno della Fiom nelle fabbriche Fiat, da cui il manager col maglioncino l’aveva cacciata. Una battaglia poi proseguita nell’opposizione al Jobs act renziano che secondo Romagnoli puntava a «far scomparire il sindacato senza neppure darsi la pena di abrogarlo». Scriveva Romagnoli: «Quella del Jobs act è una storia d’inganni, furbizia malandrina e apparenze falsificanti.
Ce n’è per tutti i gusti. Si va dall’uso (senza precedenti) di anglicismi con un forte impatto mediatico, ma d’incerto significato nella stessa lingua-madre, all’uso spericolato di parole che reclamizzano la figura di un contratto di lavoro (quello a "tutele crescenti", ndr) spacciato per innovativo mentre alle spalle ha un’esperienza secolare».
LUNGO TANTI ANNI, I LETTORI del manifesto lungo tanti anni hanno imparato ad apprezzarne la sagacia e la chiarezza di pensiero. Il tema centrale dei suoi editoriali era «la destrutturazione del diritto del lavoro»: dal decreto Sacconi alla sostanziale abolizione dell’articolo 18, Romagnoli ha sempre motivato con eleganza e al tempo stesso con verve polemica la sua contrarietà ad ogni intervento che facesse arretrare i diritti dei lavoratori.
Romagnoli, a quarant’anni di distanza, definiva «lo statuto dei lavoratori» «il più serio tentativo di riportare la realtà sindacale nel quadro costituzionale». E denunciava da anni il processo di «privatizzazione del diritto del lavoro», partito con il famoso pacchetto Treu per passare al famigerato articolo 8 di Sacconi: la possibilità di derogare al contratto nazionale di lavoro.
IL SUO ULTIMO ARTICOLO sul manifesto è uscito nel maggio del 2020. Ricordava un collega più giovane di Romagnoli, quel Massimo D’Antona ucciso dalla Br nel 1999. Si chiudeva proponendo «una torsione al diritto del lavoro» che mettesse al centro la «cittadinanza».
Tantissimi i ricordi e le reazioni alla notizia della scomparsa di Romagnoli. Prima fra tutte l’Alma mater per la quale insegnò per decenni Diritto del lavoro pubblicando moltissimi testi: Il lavoro in Italia. Un giurista, Il Mulino, 1995; Giuristi del lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto, Donzelli 2009. L’università di Bologna gli darà l’ultimo saluto venerdì alle 15, alla Cappella Bulgari in Archiginnasio.
LA CGIL LO HA RICORDATO in una nota in cui sottolinea come «il professore» sia stato «protagonista della stagione statutaria, sempre vicino al movimento sindacale, attento alle nuove tendenze del mercato del lavoro e coraggioso innovatore della frontiera dei diritti, fine letterato capace di innestare nel codice linguistico giuslavoristico una spiccata fantasia, con lui finisce la generazione dei padri costituenti».
Il Comune di Bologna invece ricorda lo storico «Commentario allo Statuto dei lavoratori» del 1970, scritto nel 1972 insieme a Giorgio Ghezzi e sottolineando il suo «esempio di impegno civile e di integrità morale».
A Bologna intanto veniva rieletto segretario della Fiom Michele Bulgarelli: un suo studente di Diritto del lavoro che lo ha ricordato con affetto. La lezione di Umberto Romagnoli nel «suo» sindacato non verrà mai dimenticata.

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