Il Marocco che i muri di solito li subisce a Ceuta e li infligge al popolo Saharawi stavolta ne ha eretto uno invalicabile a difesa dell’1-0 che ieri ha clamorosamente eliminato il Portogallo di Cristiano Ronaldo dai Mondiali di calcio. Imprevedibile impresa, che fa il paio con la precedente corrida vinta contro la Spagna debordante di talento, per l’integrale re-reconquista della penisola iberica, beffa ai pronostici che potrebbe avventurarsi anche oltre i Pirenei perché in semifinale c’è la Francia, una sfida dal retrogusto coloniale che aggiunge emozioni forti dentro e soprattutto fuori dal paese, tra i marocchini della sconfinata diaspora.
È la loro - dice l’almanacco - la "prima squadra africana" a entrare nel cerchio magico delle migliori 4 al mondo. Un esito che per come è maturato accresce esponenzialmente l’amore per il calcio, qualsiasi cosa sia diventato. La classica squadra operaia e collettivista, povera di stelle e ricca di spirito, che sgambetta le big mondiali. A occhio è anche la prima squadra araba e “musulmana”, qualsiasi cosa voglia dire. E se accade al Mondiale più politico, intrallazzato e analcolico di sempre, nel Qatar capace di manipolare Fifa e Ue con disarmante facilità, ci sarà lavoro per i complottisti. Almeno per quelli meno sensibili al calcio e ai suoi dei che cadono, il dolore in sequenza di Neymar, la prima cosa che unisce i brasiliani da anni, e di Cristiano Ronaldo che infila gli spogliatoi piangente come un vecchio fado.
Da domani, anzi da ieri, torniamo a parlare di diritti violati, in Qatar come nel Marocco dei saharawi sotto occupazione, contro cui re Mohammed VI userà ogni strumento. Tanto più se potente come il calcio.