VISIONI

Viaggio nella vita di «Orlando», lasciare il rifugio per il futuro

UN INCONTRO TRA GENERAZIONI
MAZZINO MONTINARIITALIA/bELGIO

Chi è Orlando? Se qualcuno pensasse ad Ariosto o a Virginia Woolf, prenderebbe una direzione errata. Il protagonista del nuovo film di Daniele Vicari, Orlando, appunto, è un anziano vedovo rintanato nel suo piccolo paese vicino Rieti, alle prese con la terra, con le incertezze che solo la natura sa offrire, e con un bar dove schivare i pochi amici. Lontano dall'essere un eroe in cerca di avventure, disinteressato a oltrepassare i limiti dello spazio e del tempo, il vecchio contadino si tiene rigorosamente a distanza dal prossimo e, al contrario di suo figlio Valerio e di tutti gli altri che sono partiti in cerca di miglior sorte, ha preferito non seguire sentieri ignoti verso destinazioni affollate.
OVVIAMENTE, a nessuno è data la possibilità di prendere congedo definitivo dal mondo (almeno da vivi), perché questo prima o poi si ripresenterà puntuale in sottili forme invadenti. Vicari, ad ogni modo, non esibisce la quotidianità di Orlando, non lo vediamo alle prese con la Spid per ottenere una pensione, con una piattaforma online dove prenotare una visita medica, o con quel tipo di tecnologia che oramai non risparmia nemmeno un ultra-settantenne. Della sua vita non sappiamo granché. Il panorama, infatti, cambia troppo presto per cogliere una prassi anziché un'idea.
L'uomo che non si era mai allontanato dalla Sabina riceve una telefonata inaspettata dall'estero e questa volta è costretto a sconfinare per raggiungere suo figlio a Bruxelles. E dopo un lungo viaggio fatto di silenzi, reso ancor più complicato dall'incapacità di usare navigatori e traduttori simultanei, scopre che Valerio è morto. Nessuno glielo aveva anticipato. Il ragazzo ribelle con cui non parlava più, adesso è davanti a lui immobile dentro una bara.
Nella stanza, però, è presente un'altra persona. E ha le sembianze di una nipote, non riconosciuta dalla madre e rimasta completamente sola, se non fosse per l'improvvisa comparsa di un nonno taciturno poco propenso ad assorbire le novità. Che voglia tornare o meno nel suo rifugio, Orlando è costretto ad assumersi la responsabilità di una ragazzina di cui non era a conoscenza fino a qualche ora prima.
È a questo punto che termina il breve racconto distopico a proposito di un alieno precipitato su un pianeta nel quale può sopravvivere fumando una sigaretta dopo l'altra. E ha inizio un altro film, più tradizionale e talvolta scolastico, nel quale Orlando (ottimamente interpretato da Michele Placido) entra in relazione con una ragazzina, Lysa, che va a scuola, che pattina sul ghiaccio, che ha un'amica del cuore con la quale le capita pure di litigare, che insomma vive, con esiti imprevisti, insieme agli altri. Così il fiero contadino che parla esclusivamente quando ha qualcosa da dire (perciò raramente) si è trasformato in un essere spaesato, costretto a rispondere a domande poste da altri e persino a esprimere sentimenti, opinioni e ricordi.
UN NONNO e una nipote che non si sarebbero incontrati se non fosse stato per una tragica perdita. Ed è sorprendente che il lutto sia usato come un espediente narrativo per avviare una storia, mettendo fuori campo l'elaborazione, quell'atto individuale e collettivo che ovunque contribuisce a istituire o a sgretolare le relazioni.

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