CULTURA

«Metropolitania», lungo strade di trasformazione

NARRATIVA
GIACOMO GIOSSI

Una città che potrebbe essere Milano, ma anche no. Una notte metropolitana calda e umida, un clima che si fa sempre più universale di una condizione perenne, anche umana. E la parola che ricorre più spesso è molle o molliccio. Metropolitania (Fandango, pp. 198, euro 17) di Carolina Cavalli contiene un voce rara nella narrativa contemporanea, capace di slegarsi pagina dopo pagina dai più ovvi e stanchi paragoni. La voce della narratrice è quella di una giovane donna alle prese con una solitudine sovrastante che diviene il vero e proprio campo di battaglia in cui nulla accade frontalmente, ma tutto è continuamente filtrato, interposto e frammentato. Una condizione snervante in cui ogni azione vive in maniera parallela, un destino implacabile che porta ad un linguaggio urlato, diretto e disperato. Ma non è mai nel grido, nell’abisso che si palesa la misura di Metropolitania, bensì in una disperante apatia in cui a contare sono i micro movimenti, in cui la lentezza - seppur occasionalmente - sembra finalmente prendere il potere.
OGNI MINUTO è uno scarto possibile, ogni direzione presa diventa per Eddi l’unica strada da percorrere perché non esistono più incroci ma nauseanti labirinti dentro cui scivolare come corpi inebetiti. Mentre il sesso ha la forma patetica di un orgoglio privo di senso, molle e nostalgico, un movimento già saputo e ormai incapace di ogni rivelazione e utile solo a riempire i giorni di una stanchezza inesorabile, l’eros invece occupa le pagine con la forma di una moltitudine di aghi in grado di ferire e quindi di rivelare. L’eros restituisce il senso del ricordo, della mancanza e di una disperazione essenziale. Il romanzo di Carolina Cavali è solo apparentemente generazionale o meglio lo è nella scelta dei riferimenti e nel linguaggio, ma poi segna uno spazio ben preciso e rivelatorio di una condizione umana invalicabile. Metropolitania gioca tra Virginie Despentes e Pier Vittorio Tondelli (A Karpi A Karpi!), tra la plastica post pop degli anni Ottanta e i manga, ma sempre con una libertà assoluta e dissacratoria che libera il testo di ogni debito, offrendo un impasto capace di contenere la disperazione con il concetto di buffo. Un gusto per la bizzarria che ricorda il primo Celati di Comiche così come Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang. Un romanzo che corre e che lascia pezzi sparsi dietro di sé e che si pone forse come il preambolo a qualcosa di forse più strutturato e ugualmente esplosivo.
UNA LINGUA CHE RICORDA per la sua aspra forza gentile il coloratissimo Giorni felici di Zuzu, capace di liberarsi di tutto quello che non serve, dei giorni passati tutti, per restare all’essenziale. Una cura possibile per il pensiero e per il suo movimento, una delicatezza affranta che costella un desiderio impalpabile e che per questo può permanere al di là della durezza e della mollezza, della potenza e della debolezza. Una sfida ai corpi e al loro ingombro impacciato e doloroso, una battaglia aperta alla realtà e alle sue meschinità e infine una rincorsa verso letteratura che sorprende.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it