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Effetti non collaterali in Ucraina

In una parola
ALBERTO LEISSvaticano/ucraina

Da molto ci viene raccontata la favola di una guerra «moderna» capace di colpire con cura - uso apposta un termine in questo caso assurdo - soltanto obiettivi militari.
Che poi tali «obiettivi» siano anche persone umane diventa secondario, per così dire diventa normale, persino «legale».
La guerra intelligente sarebbe votata a risparmiare i «civili». Donne, anziani, bambini, e anche uomini se non indossano l’uniforme. È solare che le cose non vanno così. Anzi, le guerre contemporanee si sono distinte per le stragi di civili che hanno provocato. Un storia che si ripete anche in tutti i conflitti più recenti, inclusa l’Ucraina. La novità linguistica è che si parla di «effetti collaterali» per alludere eufemisticamente a queste stragi. Non erano intenzione, insomma, di chi ha premuto i vari tipi di grilletti a disposizione.
In Ucraina succede qualcosa di diverso. L’esercito russo è in difficoltà e si ritira qua e là. Ma si ripetono da giorni bombardamenti su molte città mirate a obbiettivi non militari, ma infrastrutturali: centrali elettriche, impianti idrici, termici ecc. Ci scappano naturalmente morti e feriti, ma il fatto «nuovo» è che provocare un generale blocco dell’energia che serve a scaldare, mangiare, bere, mentre arriva un inverno rigidissimo, significa prendere a bersaglio esplicitamente l’intera popolazione civile.
Lo ha capito il Papa che ha indirizzato mercoledì scorso al popolo ucraino una lettera che lo riconosce «nobile e martire», enumera le atrocità che gli sono state inflitte, tra cui «piogge di missili che provocano morte, distruzione e dolore, fame, sete e freddo». È un testo (https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2022/documents/20221124-lettera-popolo-ucraino.html
) che esprime una specie di disperazione, e che si conclude con una invocazione per la pace rivolta direttamente a Dio, quasi non esistesse ormai persona umana - a parte i volontari che si impegnano sul campo - a cui poter chiedere un intervento.
Ieri però Francesco ha ripetuto che lavora per la trattativa, si occupa degli scambi di prigioneri, e di altro, e che è sempre pronto a recarsi a Kiev e a Mosca se si aprisse uno spiraglio (che per ora nessuno sembra voler aprire).
Il salto di qualità nell’escalation in Ucraina mi sembra dimostrare che continuare a alzare il livello dello scontro può solo aumentare i rischi di una conflagrazione apocalittica.
Ieri sul Corriere della sera Paolo Mieli ha sottolineato il riferimento del Papa, nella lettera agli Ucraini, al «terribile genocidio dell’Holodomor» di cui ricorrevano i 90 anni. Un citazione che, di fatto, mette Putin sullo stesso piano di Stalin. Con l’aggravante - si potrebbe persino aggiungere - che Stalin pensava di cambiare in meglio il mondo con la sua idea perversa e violenta del comunismo, mentre Putin vuole solo difendere e rafforzare un sistema cleptocapitalista (definizione di Chomsky) selvaggio, ora preda di aberrazioni imperiali (per quanto figlie anche di errori occidentali).
Holodomor è una parola ucraina che significa più o meno «morte per fame» e si riferisce alla carestia del 1932-33 che provocò diversi milioni di vittime.
C’è una lunga disputa storica e politica sul fatto che sia stata il frutto di scelte economiche catastrofiche o di deliberata volontà di piegare nel modo più brutale i contadini che resistevano alla collettivizzazione, e gli ucraini tutti. Negli ultimi anni va prevalendo, in molti stati e nelle istituzioni internazionali, la tesi del «genocidio».
Quando osservo Putin e Xi Jinping non posso fare a meno di pensare che il lavoro per ridare senso a parole come socialismo e comunismo è ancora enorme.

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