INTERNAZIONALE

La rivolta «fuori»: consigli ai ribelli, notizie al mondo

GIULIA BERNACCHIIRAN/TEHERAN/MONDO

Gli iraniani all’estero, tanto attivisti, giornalisti, sportivi, personaggi dello spettacolo, quanto persone comuni, portano la loro voce nelle piazze e sui media occidentali a sostegno di chi manifesta in Iran. Una voce per cui non è scontato oltrepassare i confini, ma che ha molto da dire su quali siano le chiavi di lettura e i significati che stanno dietro agli eventi di oggi nel paese.
F. PARTECIPA alle proteste in Germania dove si è trasferita per studiare matematica: «Per chi è in Iran adesso è molto rischioso. Pensavo che avrebbero presto soppresso le proteste. Succede sempre così, la repressione diventa estenuante e non è possibile continuare, invece sono due mesi che la gente è in strada a gridare. Una sera i miei amici all’università di Teheran sono stati costretti a rimanere chiusi nel dormitorio, non potevano neanche uscire sul terrazzo perché la polizia stava sparando davanti all’edificio. Mentre una amica protestava all’entrata di quella stessa università, qualcuno ha condiviso una foto con il suo volto visibile su un gruppo Telegram i cui amministratori sono stati arrestati. Le immagini sono adesso nelle mani delle autorità e lei teme di essere identificata».
F. CERCA DI TRASMETTERE in Europa quello che le riportano i parenti in Iran, gli amici sui social media e i canali basati all’estero in lingua farsi. Allo sforzo collettivo della diaspora iraniana si uniscono anche i medici che sui social network danno istruzioni di pronto soccorso e gli ex poliziotti che spiegano come proteggersi da proiettili e lacrimogeni.
P., dottorando iraniano, non si definisce un attivista, ma ritiene che in questo momento sia necessario essere attivi. Si raduna con il suo gruppo di amici non solo per partecipare alle manifestazioni in sostegno della causa iraniana a Parigi, ma anche per scambiare idee, informazioni e opinioni. «Non è immaginabile che sia successo tutto da un giorno all’altro, da quando hanno ucciso Mahsa. Da più di un secolo gli iraniani hanno soprattutto tre richieste: giustizia, indipendenza e libertà. La rivoluzione del 1906 che portò la monarchia a dotarsi di un parlamento partì dalla richiesta di giustizia. La rivoluzione islamica portava con sé la richiesta di indipendenza, le persone pensavano che lo scià fosse un burattino nelle mani di potenze straniere. Il movimento attuale ha moltissime richieste, dalla parità di genere all’hijab opzionale, dai diritti umani all’economia, dall’ambiente alla lotta alla discriminazione tra classi, etnie, lingue, religioni. Ogni singola ragione per ribellarsi ha le proprie radici nella mancanza di libertà e democrazia. È questo quello che la gente sta chiedendo oggi».
F. E P. SOTTOLINEANO la spontaneità dell’azione dei manifestanti in Iran. Le persone escono di casa, vedono il primo gruppo che protesta e si uniscono, nelle singole città si verificano più eventi in simultanea. Significa che le forze di sicurezza devono disperdersi per intervenire tempestivamente in luoghi diversi, senza poter prevedere dove, quando o quanta gente si unirà. Ci sono tuttavia eventi e luoghi ricorrenti. Gli studenti del liceo che tornando a casa dopo la scuola cominciano dei piccoli cortei a cui si aggiungono i passanti. Gli universitari prendendo di mira il sistema di divisione degli spazi tra maschi e femmine, tirano giù le grate che separano le stanze della mensa per mangiare insieme. La repressione è particolarmente violenta nelle zone dove vivono minoranze, soprattutto in Sistan e Balucistan, dove la polizia ha sparato proiettili veri ai raduni in memoria di alcuni manifestanti uccisi.
P. VEDE un cambiamento nell’atteggiamento dei manifestanti nei confronti delle autorità: «Tre anni fa ho partecipato alle mobilitazioni a Teheran. Nessuno osava intervenire in caso di arresti. Per le autorità in borghese era facile disperdere la folla simulando uno sparo in mezzo al corteo. Adesso le persone si accalcano attorno alle vetture della polizia per impedire che gli arrestati vengano portati via». Per ovviare le autorità hanno usato anche le ambulanze per trasportare le persone in arresto, mentre alcuni feriti sono portati in carcere direttamente dall’ospedale. I lavoratori del servizio sanitario hanno denunciato tali pratiche scioperando per non essere associati al sistema di repressione.
La generazione Z, quella che vediamo oggi sfidare con coraggio i simboli della rivoluzione islamica, è diversa da quelle precedenti che credevano in un cambiamento graduale, sia sociale che politico, ma ancora incluso in un compromesso all’interno dello stesso sistema della Repubblica islamica.
«Abbiamo tentato molte opzioni: i riformisti come Khatami, un conservatore ma senza carica clericale come Ahmadinejad, i moderati con Rouhani. Abbiamo provato a partecipare alle elezioni e a boicottarle», spiegano M. e R., moglie e marito iraniani oggi residenti in Turchia. Nel 2017 hanno sperato nel cambiamento promesso dai moderati. Poco dopo, per l’insostenibilità della situazione economica, hanno lasciato il paese per cercare lavoro all’estero. M. è entusiasta della resistenza dei più giovani, uno sforzo che la sua generazione non è riuscita a compiere. Auspica che il movimento continui a crescere e migliorarsi: «Se alcuni manifestanti hanno incitato slogan sessisti contro madri e sorelle delle forze di polizia, altri li hanno corretti ricordando che lo slogan è “donna, vita, libertà”, senza discriminazioni. Se chiamiamo questo movimento femminista è perché include tutte le vittime collettive di questo regime, a partire dalle donne».
M. E R. vorrebbero che la pressione dei governi occidentali e la visibilità globale costringano le autorità iraniane a contenere la violenza, ma sono preoccupati per le sanzioni che isolano e impoveriscono la popolazione, favorendo invece chi è al potere. Secondo R., la discriminazione in Iran è basata sulla vicinanza al regime: non si tratta solo di essere più o meno in disaccordo con i principi religiosi e rivoluzionari promossi dal governo, il sistema rimane saldo perché sono in molti a trarne vantaggio.
E SE LE SANZIONI internazionali hanno contribuito a far schizzare i prezzi, anche cibo e medicinali, hanno anche favorito la nascita di redditizi business basati all’estero per eludere le sanzioni, ma in mano a funzionari o militari della Repubblica islamica.

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