SOCIETA

Le ragazze della Generazione Z alle prese con le molestie di strada

SI CHIAMA CATCALLING. DALLA FERMATA DEL BUS ALLA SCUOLA
GIULIA D’ALEOITALIA

Di catcalling si scrive poco e si indaga ancora meno. Eppure il fenomeno interessa più della metà delle donne e definisce un tipo specifico di molestie: prevalentemente verbali e provenienti da perfetti sconosciuti in luoghi pubblici. La difficoltà nel riconoscerlo come forma di violenza - non solo tra gli uomini, ma anche per una donna su tre - fa sì che le misure di prevenzione e contrasto siano inefficaci, se non del tutto inesistenti.
Le giovani adolescenti, quelle che rientrano oggi nella Generazione Z, sono più ricettive verso questo tipo di molestie e ne sono anche le più colpite: la maggior parte delle donne, infatti, subisce catcalling prima dei 17 anni. Si tratta di un dato già vecchio - da un’indagine del 2015 del gruppo statunitense anti-molestie Hollaback! - perché le ricerche in materia sono poche e sporadiche.
Il manifesto ne ha parlato con un gruppo di otto liceali tra i 14 e i 18 anni, incontrandole nell’appartamento di una di loro in un quartiere centrale di Roma. Il campione è di certo poco rappresentativo di un’adolescente media, ma può esserlo, in piccolo, di una di estrazione borghese, studentessa in uno degli istituti più rinomati della città, politicamente più o meno attiva nei collettivi studenteschi. La violenza di genere, però, è democratica e non conosce differenze di quartiere. Le storie che ci hanno raccontato sono storie di violenza ordinaria. Sconosciuti che fanno apprezzamenti volgari, che pedinano, che sull’autobus approfittano della calca per un contatto fisico. Dato che si tratta di minorenni, useremo nomi di fantasia.
«Ho sempre avuto ansia nell’uscire da sola, ma non riuscivo a capire perché. Quest’anno ho iniziato ad accorgermi di comportamenti nelle persone che incontro che non mi fanno sentire al sicuro». Lo racconta Valeria, che a 14 anni sente già il peso di sguardi indesiderati. «Non capisco perché uno sconosciuto possa pensare che mi faccia piacere ricevere complimenti. Non mi fanno stare meglio, mi mettono solo a disagio».
La sera è il momento peggiore. Se la via da percorrere è percepita come pericolosa «meglio non uscire nemmeno. Qualche giorno fa dovevo raggiungere delle amiche - racconta Martina - ma la fermata della metro era lontana e avrei dovuto aspettare lì da sola. Il giorno prima però una ragazza era stata stuprata proprio nei dintorni». Anche il 55% delle donne dichiara di fare spesso la stessa scelta e il 73% preferisce persino evitare le zone dove ha già subito catcalling.
E poi ci sono le precauzioni considerate naturali, come mandare la posizione in tempo reale a una persona di fiducia o adeguare l’abbigliamento al tragitto che si prevede di fare. Se si prende la metro, per esempio, «so di dover portare anche una felpa grande da mettere addosso» e, in generale, prima di uscire «mi faccio la domanda: posso andare in giro vestita così?». «Lo so che non cambia nulla» ammette Noemi «ma una maglia larga mi fa sentire protetta». Quello del vestiario è un tema centrale, spesso oggetto di disquisizioni o di colpevolizzazione delle vittime e giustificazione dei loro aggressori. A pensarla così, secondo Istat nel 2018, è il 23,9% della popolazione, mentre oltre il 39% ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto se davvero non lo vuole. Il 15,1% è, inoltre, dell’opinione che una donna che subisce violenza sessuale sotto effetto di droghe o alcol sia in parte responsabile. «Molti quando vedono una ragazza ubriaca - raccontano - la toccano, la baciano e si giustificano dicendo che erano ubriachi anche loro. Poi è lei a essere giudicata perché non era lucida».
Ma nessuna di loro, nemmeno da sobria, è in grado di reagire a un commento o una molestia fisica. «Una volta ero per strada e ho sentito qualcuno che mi toccava il sedere. Ho pianto. Poteva non accontentarsi e io non avrei saputo reagire». L’errore comune è pretendere dalla vittima, e da questa generazione in particolare, di opporsi ai propri aggressori. Ma le adolescenti sanno che non sta a loro educare gli uomini e disinnescare una mascolinità tossica pervasiva, nonostante siano convinte che qualcuno dovrebbe farlo.
Il luogo adatto allo scopo, designato all’unanimità dalle ragazze, è la scuola. «L’unica volta che abbiamo partecipato a un corso di educazione sessuale è stato durante un’autogestione» raccontano. Nel report di Osservatorio indifesa 2022 emerge che su un campione di 10mila ragazzi per il 74% le vittime di violenza non vengono prese sul serio dagli adulti e denuncia come il 44% degli episodi avvenga proprio a scuola. «Alcuni professori ci dicono di non vestirci scollate, altrimenti è colpa nostra se ci rivolgono commenti a sfondo sessuale. E così legittimano anche i ragazzi a farli». Eppure, l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole resta ancora un tabù e le voci degli studenti, che da anni reclamano programmi a livello ministeriale, rimangono inascoltate.

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