COMMENTO

L’ancien régime del ministro Valditara

Umiliare per educare?
FILIPPO BARBERAITALIA

Il 21 novembre il Ministro dell’Istruzione e del Merito del governo Meloni, in occasione di un evento pubblico a Milano, ha dichiarato: «Soltanto lavorando per la collettività, umiliandosi anche, si prende la responsabilità dei propri atti. Evviva l’umiliazione».
«Che - ha continuato - è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, di fronte ai propri compagni. Da lì nasce il riscatto». Successivamente - a seguito delle polemiche sollevate - si è scusato per il termine utilizzato.
Il problema, però, non è il termine, ma il concetto di fondo a cui questo si riferisce. Nell’idea che l’umiliazione comporti un effetto educativo sulle persone, la sfera pubblica diventa il luogo dove il «reo» - a prescindere dal come e dal perché della sua colpa - deve mostrare agli altri la propria colpa.
NON È, QUINDI, una vera e propria sfera pubblica sottoposta a regole di riconoscimento terze e simmetriche, ma una «scena» teatrale dove espiare la colpa. Se il reo non si pente e non si sottopone al rituale dell’umiliazione, merita l’ostracismo della comunità.
Nell’Atene della Grecia antica, l’ostrakon era il frammento di terracotta dove gli Ateniesi incidevano il nome del cittadino da mettere al bando. Il ministro Valditara ha ammesso che la sua posizione deriva dalla preoccupazione per la perdita di autorevolezza del ruolo del «maestro»: «Quando io ero un bambino, il maestro era il maestro con la emme maiuscola. Così non si può più andare avanti».
Che il ruolo sociale dell’educatore sia in crisi di legittimità, è noto da molti anni. Ciò che colpisce nella proposta del ministro è l’idea che questa autorevolezza perduta si possa rigenerare attraverso strumenti punitivi che - anche se non ancora corporali - devono fare leva sull’assenza di dialogo e di relazione, tanto con il «reo» che con la comunità offesa.
L’ESATTO CONTRARIO di quanto suggerito dalla cosiddetta «giustizia riparativa» che, appunto, richiede che il danno che il soggetto ha cagionato alla comunità sia oggetto di un processo capace di spingere gli autori di reato a porre rimedio al danno e/o alla sofferenza generata.
La giustizia riparativa interpreta lo spazio pubblico come quel luogo che valorizza la relazione sociale tra reo e offeso con riferimento a un terzo (la comunità) che media tale relazione all’insegna della necessità di riprodurre il legame sociale che il reato ha spezzato.
Le coordinate per istituire modelli di giustizia riparativa si caratterizzano per il ruolo svolto dall’atmosfera informale, dal coinvolgimento della comunità nella gestione del conflitto, dalla verifica del grado di condivisione, da parte della comunità, del punto di vista delle parti in conflitto, dal tentativo di favorire una soluzione consensuale del conflitto, dalla valenza terapeutica del processo di mediazione, dall’interesse alla ricostituzione dell’armonia sociale all’interno della comunità e dall’orientamento del risultato alla comunità e non, in via esclusiva, agli interessi delle singole parti in conflitto (si veda: Mannozzi, Grazia, and Giovanni Angelo Lodigiani. La Giustizia riparativa: Formanti, parole e metodi. G Giappichelli Editore, 2017). Lo spazio pubblico diventa quindi il luogo per una prestazione pubblica, giudicabile da uno sguardo terzo, tra il colpevole e chi ha subito il danno.
UNA BELLA DIFFERENZA con l’idea che «l’umiliazione strutturi la personalità». Del resto, gli studi psico-sociali mostrano che le emozioni riflessive come l’umiliazione - cioè quelle emozioni che sortiscono un effetto sull’autocoscienza del soggetto - generano proprio l’effetto opposto. Umiliazione e vergogna creano problemi di autostima e sono causa di aggressività, rabbia e violenza nelle persone.
In questo modo, la sfera pubblica viene privata delle sue qualità più importanti: mettere a confronto i cittadini in uno spazio terzo e soggetto a regole di riconoscimento pubbliche, potenzialmente inclusive sulla base dell’adozione di modelli di comportamento e di «pratiche sociali» orientate alla riproduzione del legame sociale. L’idea che i percorsi necessari per ripristinare l’autorevolezza degli educatori passino dal potere delle istituzioni educative di punire e umiliare chi ha commesso un danno alla collettività, è indice di un atteggiamento segnato dalla ricerca di autorità severe e di sanzioni verso comportamenti classificati come «devianti».
UN AUTORITARISMO che nasce come reazione a qualcosa che viene percepito come minaccia, cioè lo sfaldamento di un ordine sociale basato su ruoli sociali una volta dotati di maggiore prestigio e influenza. Una reazione, quindi, da ancien régime, che qualifica una postura politica basata sull’autoritarismo come soluzione alla mancanza di autorevolezza.
@FilBarbera

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