CULTURA

Alberto Tulumello, ipotesi sul Sud e il Mediterraneo

SOCIOLOGIA
MANFREDI ALBERTIITALIA

«La carestia, la peste e la guerra - scriveva Voltaire nel Dizionario filosofico - sono i tre ingredienti più famosi di questo basso mondo». Anche il secolo che stiamo vivendo, come i precedenti, sembra destinato a confrontarsi con simili flagelli, che hanno assunto i diversi volti della grande crisi finanziaria del 2007-8, poi della pandemia e ora di una guerra dagli esiti potenzialmente apocalittici. In questo scenario tutt’altro che rassicurante diventa tanto necessario quanto urgente riprendere il cammino della ricerca e della sperimentazione di possibili alternative allo stato di cose presente, nella direzione dello sviluppo, della cooperazione internazionale e della democrazia.
UN CONTRIBUTO STIMOLANTE in questa direzione proviene da un ricco volume che tenta di riannodare i percorsi di ricerca del sociologo palermitano Alberto Tulumello, a dieci anni dalla sua prematura scomparsa (Verso una geografia del cambiamento. Saggi per un dialogo con Alberto Tulumello, dal Mezzogiorno al Mediterraneo, a cura di Simone Tulumello, Mimesis, pp. 276, euro 24). Studiosi di diversa provenienza - economisti, storici, sociologi, antropologi, politologi, demografi, geografi, urbanisti - dialogano a partire da molte domande lasciate aperte da Tulumello, con un’attenzione particolare alla peculiare condizione del Mezzogiorno d’Italia, in relazione al più vasto sud Europa e al Mediterraneo. Tra le tante questioni esaminate emerge con forza il tema dei fattori in grado di determinare lo sviluppo e il cambiamento, e degli strumenti politici, sociali e culturali da mettere in campo per raggiungere lo scopo. Gli autori si confrontano criticamente con tante delle suggestioni emerse nell’itinerario di ricerca di Tulumello. Innanzitutto un’idea di sviluppo sottratta ai criteri del canone economico neoliberista, attento solo agli aspetti monetari e aggregati della crescita e insensibile alla dimensione della giustizia sociale e ambientale. Inoltre una visione articolata del sud Italia, liberata dagli stereotipi dell’arretratezza e da una lettura «eccezionalista», incapace di cogliere il nesso inscindibile fra sviluppo e sottosviluppo, centro e periferia. Emergono poi altre interessanti considerazioni di metodo, come ad esempio la necessità di costruire indicatori statistici realmente in grado di leggere il tessuto produttivo del Mezzogiorno nelle sue articolazioni interne, sfuggendo alla logica livellatrice delle medie regionali, alla ricerca dei germi del dinamismo nelle pieghe del tessuto sociale ed economico. La statistica sembra quindi assumere in quest’ottica anche un ruolo civile e politico, come strumento in grado di capire a fondo la realtà e quindi di trasformarla, mediante il protagonismo degli attori sociali e un’azione dello Stato che non si riduca a mero sostegno compensativo rispetto ai «fallimenti del mercato».
LA FECONDITÀ DEL METODO di Tulumello deve molto anche alla capacità del sociologo palermitano di fare tesoro dell’insegnamento di grandi intellettuali come Giacomo Becattini, studioso dello sviluppo locale e dei distretti industriali, e Albert Hirschman, riformista socialdemocratico ed economista atipico, decisamente insofferente verso le barriere che nel mondo della ricerca spesso separano le discipline e i metodi. Leggendo il volume si ricava un’idea di fondo che è anche una speranza per il futuro, ovvero la consapevolezza del cambiamento - sociale, economico e politico - come possibilità sempre presente, per quanto improbabile e imprevedibile. In tale concezione antideterministica si può forse cogliere la cifra più originale del metodo di lavoro lasciato in eredità da Alberto Tulumello.

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