INTERNAZIONALE

La sfida dei rapper iraniani al regime degli «sciacalli»

FARIAN SABAHI iran

«Il reato di qualcuno è aver ballato con i capelli al vento. Quanti giovani avete ucciso mentre costruivate una torre per voi stessi? Io sono l’indovino. Il prossimo anno, l’anno dei 44 anni della Repubblica islamica, sarà quello del crollo. La profezia è piena di sangue e rabbia». Queste sono alcune delle strofe di Omen, l’ultimo brano del rapper iraniano Toomaj Salehi. Di etnia lori, era già stato arrestato lo scorso anno per le sue critiche nei confronti delle autorità. Nel brano Normal metteva l’accento sulla povertà dicendo «La notte i nostri figli dormono e hanno fame» e chiedeva alle autorità di Teheran come potessero dormire sonni tranquilli. Nel 2021, nella canzone Rathole accusava giornalisti e artisti - dentro e fuori l’Iran - di essere «alleati del tiranno», ovvero del Leader supremo Khamenei. In un altro brano criticava i buoni rapporti con Russia e Cina dicendo: «Non ci avete già derubato a sufficienza? E ora volete dare via metà delle nostre risorse a Pechino e il resto a Mosca?». Di fronte all’accusa di «propaganda contro lo Stato», la sua famiglia aveva pagato la cauzione e lo aveva fatto uscire dal carcere. La condanna era arrivata a gennaio: sei mesi di prigionia. A febbraio, la sentenza era stata sospesa.
IN UN NUOVO VIDEO sui social, il trentaduenne iraniano legge i fondi del caffè prevedendo l’infausto futuro del regime degli ayatollah se continuerà a reprimere il dissenso. «La forza bruta non avrà la meglio», canta Salehi. Ma il 30 settembre il rapper che sfida gli ayatollah e i pasdaran al potere è stato arrestato. La sua colpa è aver espresso, con le sue liriche, il proprio sostegno alle proteste in corso. Negli ultimi anni Salehi è diventato noto al largo pubblico grazie alla sua musica e ai social media, attraverso i quali solleva questioni che toccano la sensibilità dei giovani. In un verso afferma: «Nel fondo di caffè ho visto un leone che dava la caccia a uno sciacallo. Ci alzeremo dal fondo e colpiremo la cima della piramide» perché nell’epica iraniana a vincere è la saggezza, non la forza brutale. E ancora, Salehi attacca «coloro che proteggono il regime, ovvero i pasdaran, i paramilitari basiji, il ministero dell’Intelligence e i media di Stato. Un giorno, afferma il rapper, li affronteremo tutti in tribunale».
In un video diffuso sui social media a settembre, Salehi si trova nella provincia di Isfahan. Partecipa alle proteste, canta slogan contro le forze di sicurezza, chiede di essere messo lui in cella in cambio dei giovani arrestati a Shahinshahr, la sua città natale. Per anni, il rapper ha continuato a provocare le autorità della sua provincia, definendole «codarde» e «gentaglia che opprime e arresta gente innocente». Dopodiché, come prevedibile, è sparito dalla circolazione, non si hanno più sue notizie e si teme il peggio. Un’agenzia di stampa vicina ai pasdaran ha diffuso una sua foto, bendato, in auto. Secondo fonti governative, avrebbe provato a lasciare il Paese illegalmente, ma famigliari e amici negano e affermano invece che è stato prelevato da agenti della sicurezza la mattina del 30 settembre nella sua abitazione a Borujen, nella provincia sudoccidentale di Chaharmahal e Bakhtiari, a centinaia di chilometri dalla frontiera.
IL RAPPER SALEHI è accusato di «attività di propaganda contro il governo e di collaborare con governi ostili, nonché di aver formato gruppi illegali con l’intenzione di creare insicurezza nel Paese». Come già avveniva al tempo dello scià, è stato costretto a rilasciare una confessione in cui dichiara di aver commesso «un errore». Sapendo di rischiare l’arresto, ha lasciato a un amico le credenziali delle sue pagine social, che quindi continuano a essere attive. L’hashtag per chiedere la sua liberazione è #FreeToomaj. Oltre a lui, un altro rapper rischia la forca. Originario della provincia di Kermanshah, nell’Iran nordoccidentale dove una parte significativa della popolazione è curda, Saman Yasin è accusato di aver agito contro la sicurezza nazionale e rischia di essere impiccato. Insieme a loro, centinaia di attivisti, artisti e atleti sono in carcere per essersi pronunciati contro la repressione di regime. Intanto, i morti sono almeno 305, tra cui 41 minori. E le autorità britanniche denunciano minacce di morte anche ai giornalisti nel Regno Unito.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it