CULTURA

Franco Antonicelli, le sue vicende personali intrecciate ai destini d’Italia

DAVIDE CONTIITALIA

La traiettoria biografica di Franco Antonicelli rappresenta senza dubbio un prisma attraverso cui poter leggere le diverse angolature del Novecento italiano. La profondità culturale che nel corso della sua vita riuscì a declinare attorno alla misura dell’azione e dell’impegno politico ne fa una figura tanto paradigmatica, di un certo ambito culturale e civile del Paese, quanto estranea e confliggente con quei processi di «ritorno al passato» che hanno costantemente caratterizzato il corso dell’Italia repubblicana.
LA RICOMPOSIZIONE di una così poliedrica esistenza è restituita, in modo incisivo e convincente a centoventi anni dalla nascita, dal libro "Franco Antonicelli. L’inquietudine della libertà" (Castelvecchi, pp.180 euro 17,50) scritto da Monica Quirico (Honorary research fellow dell’Istituto di storia contemporanea dell’Università di Södertörn-Stoccolma).
L’AUTRICE SCEGLIE, felicemente, di seguire come filo conduttore del volume il tratto identitario pubblico più forte e riconoscibile di Antonicelli: l’antifascismo. Vengono ripercorse, così, vicende personali intrecciate ai destini d’Italia.
Dalla formazione culturale all’approdo alla dissidenza politica di matrice gobettiana; dalla lettera di solidarietà a Benedetto Croce (che aveva criticato Mussolini all’indomani della firma del Concordato con il Vaticano) pagata con il primo arresto nel 1929 fino alla scelta della Resistenza l’8 settembre 1943 che gli costerà il carcere nazista a Roma e Castelfranco Emilia e che lo vedrà, in ultimo, presidente del comitato di Liberazione nazionale del Piemonte.
L’impegno di Antonicelli negli anni della Repubblica si articola, tanto sul piano culturale quanto su quello politico, con la finalità di valorizzare l’eredità della Resistenza e con la lotta per l’applicazione e l’attuazione della Costituzione.
È QUESTO SPIRITO, che Quirico restituisce nella sua pienezza, a incardinare una traiettoria inquieta e straordinaria nella sua ricerca di affermazione della giustizia e della libertà come essenziale indirizzo di sviluppo per la Repubblica.
LUNGO QUESTA STRADA incontrerà sia «la più grande forza storica del proletariato italiano, il Partito comunista», di cui diverrà senatore eletto come indipendente nel 1968, sia le forze della Nuova Sinistra emerse dal 1968. Un percorso che al netto delle critiche «malevoli di detrattori maligni» (così le definì a difesa di Antonicelli il suo amico Alessandro Galante Garrone) delineò la sua coerenza di fondo.
Come sottolineò Norberto Bobbio, «Franco era stato fin dall’inizio un liberale di sinistra. Le vicende successive dimostrarono che per un liberale di sinistra era più naturale l’alleanza coi comunisti che non con i socialisti. Precedente autorevole era stata la Rivoluzione liberale di Gobetti».
IL LIBRO di Monica Quirico, disegna il profilo di un grande intellettuale consapevole del suo ruolo in una società italiana pregna di torsioni regressive e di storiche resistenze delle classi proprietarie nell’acquisizione della democrazia costituzionale come fattore di una nuova civiltà: «Perché penso che gl’intellettuali – scrive Antonicelli – debbano partecipare a questa battaglia? Perché non esiste frattura fra cultura e politica. Perché l’intellettuale deve fiancheggiare nelle sue lotte la classe operaia? Perché la sola forza che può sbarrare il passo alla reazione è la classe operaia. Sulla classe operaia il padrone esercita tutta la sua violenza; se questa risulta vittoriosa, il Paese ha perduto ogni garanzia di libertà».

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