VISIONI

«Soleil Ô», gli effetti del colonialismo e l’indignazione di un africano in Francia

IN PRIMA TV SABATO NOTTE SU FUORI ORARIO RAI3
GIUSEPPE GARIAZZOFRANCIA/africa

L’urlo della terra, di un continente intero, batte incessante nelle immagini in bianconero di Soleil Ô, folgorante opera di militanza estetica e politica che segnò l’esordio nel lungometraggio di Med Hondo alla fine degli anni Sessanta. Nato in Mauritania nel 1936 (muore a Parigi nel 2019), Hondo per molto tempo è stato l’unico regista del suo paese a realizzare film con una certa regolarità, «portando» su di sé una cinematografia altrimenti quasi inesistente - fino a quando, agli albori degli anni Novanta, si rivelò l’altra voce potente del cinema mauritano, quella di Abderrahmane Sissako.
Emigrato in Francia intorno ai vent’anni, Hondo colpì al cuore fin da subito iniziando, con Soleil Ô, a indagare le responsabilità del colonialismo e della «esportazione» della cultura occidentale in Africa (emblematica, in Soleil Ô, la breve scena nella quale una grafica animata sintetizza il «viaggio decapitato» della cultura africana verso l’Europa), del cattolicesimo e dei tanti potenti africani che altro non sono se non burattini manovrati dalla Francia. Med Hondo è spietato in un film (del 1967, ma che trovò visibilità solo nel 1970 quando venne presentato alla Semaine de la critique di Cannes e poi al festival di Locarno dove vinse il pardo d’oro) che segue le disavventure di un immigrato africano in Francia, una serie di situazioni e di incontri che portano il protagonista a confrontarsi e a scontrarsi con sfruttamento, razzismo, condizioni di vita impossibili.
L’URLO CRESCE immagine dopo immagine. Lo spaesamento dell’uomo in costante cammino in luoghi parigini, tra la ricerca di un lavoro, di un appartamento - con la sua valigia sulla quale sono indicate le bandiere di diversi stati africani, una valigia-continente, oggetto che si trasforma in potente segno di appartenenza, collocato nelle immagini con una precisione assoluta e del tutto anti-didascalica -, è descritto da Med Hondo con una narrazione cruda. Il realismo si tinge di grottesco (si pensi al prologo in Africa tra caricatura dei bianchi in uniforme e del colonialismo religioso), di umorismo feroce (come nella rappresentazione della coppia francese incapace di comunicare, un uomo e una donna in un appartamento seduti davanti a due televisori, divisi da qualsiasi dialogo che non sia litigio), di un’indignazione che infine esplode, che il protagonista non può più trattenere. Un gesto di rivolta, di fuga da quella moltitudine di ipocrisie borghesi, dalla città, verso un bosco, correndo a perdifiato, accompagnato dai volti di leader africani che appaiono fra la vegetazione, e dagli zoom vertiginosi che moltiplicano il senso di disorientamento, il febbrile procedere, a sua volta dilatato dal suono dei tamburi che echeggia un battito cardiaco sempre più affannato e che non si può interrompere.
VIENE IN MENTE il Cinema Nôvo brasiliano, la poetica dell’urgenza, della manifestazione della rabbia, esplorata, in un grido senza confine, (anche) da Glauber Rocha. Soleil Ô sarà in prima visione televisiva, in copia restaurata, domani nella notte di Fuori orario (dalle 01.50) significativamente intitolata «Terre in transe» (evocando un film di Rocha) e che inoltre conterrà il film «italiano» del regista brasiliano, Cancer, altro sguardo politico e sperimentale realizzato sul finire degli anni Sessanta.

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