CULTURA

Stuparich narra la fine della Trieste asburgica a scuola

PER QUODLIBET
LUCA SCARLINIITALIA/TRIESTE

Giani Stuparich (1891-1961), triestino, suddito disertore dell’Impero Austro-Ungarico, volontario nell’esercito italiano, andando al fronte, passa da Firenze, città in cui ha studiato e fatto le prime prove di scrittore, insieme al fratello Carlo e all’amico Scipio Slataper: del conflitto scrive in modo diretto e brusco nel notevole Guerra del ’15 (1931, ripubblicato a cura di Giuseppe Sandrini da Quodlibet, 2017), ma sulle stesse vicende torna anche il suo primo libro di narrativa, Colloqui con mio fratello, uscito nel 1924, per cui Svevo scrisse che «pareva un tempio» dedicato allo scomparso.
DELLA GIOVINEZZA, della sua irruenza, trattano le opere narrative maggiori, che spesso tornano al momento del passaggio verso la prima età matura, conquistata a prezzo di lotte. Sempre per le cure di Sandrini, esce ora da Quodlibet il notevole racconto Un anno di scuola (nella nuova edizione della collana Storie, pp. 104, euro 12). Il testo, edito nel 1929, è in primo luogo una struggente, tesa testimonianza degli ultimi anni della tramontata Trieste asburgica. Nella classe di liceo, ispirata in parte alla vicenda autobiografica dello scrittore, gli studenti si agitano per la presenza magnetica della bella e studiosissima Edda Marty, prima ragazza a tentare la difficoltosa via dell’ammissione al liceo, subendo un esame assai severo, che supera con facilità. L’irredentismo fino ad allora era per loro l’argomento più importante, anche nelle accanite discussioni letterarie: «più in alto di ogni criterio estetico stava per loro il sentimento della patria; la rivendicazione di Trieste all’Italia era lo scopo delle loro vite».
CON EDDA TUTTO CAMBIA: felice è la scrittura nel racconto del primo incontro tra la ragazza, che vive nel mito della sorella Hedwig che ha un’esistenza per lei di sogno a Vienna, libera e padrona di sé, e il compagno di studi Antero, più tradizionalista, uniti di colpo dalla risoluzione di un problema matematico, che annuncia una nuova intimità. Il ragazzo, austero per carattere, si fa portare da lei a azioni inaudite: corse per strada, salti delle colonne dei moli, giochi con il vezzoso cappellino di lei: si innamora della sua persona e della sua disposizione all’avventura.
L’ANNO CHE VA VERSO L’ESAME, rito di passaggio verso nuovi destini, si conclude con una resa dei conti, in cui Emma riassume l’anno vissuto insieme ai suoi compagni: «”No, voi non mi avete mai, neanche tu Momi, presa per il mio verso. Non m’avete capita. Io volli essere semplicemente un vostro compagno, e voi m’avete sempre respinto e ricacciato nel mio sesso, mi avete costretto a restar donna perché vi facessi del male». Ammalata di petto, dopo essere stata in gravi condizioni, intraprende un viaggio in Oriente anche per far perdere le proprie tracce, avendo fatto innamorare di sé tutti gli uomini della scuola, una «cocotte monella». Stuparich è maestro nell’evocare questo momento dell’esistenza, come anche, su toni più amari, narra del confronto aguzzo tra un figlio e un padre, nell’altro suo racconto di giovinezza celebre, L’isola, curato sempre da Sandrini per Quodlibet nel 2020.

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