VISIONI

«Santa Lucia», ritorno a casa tra gli amati fantasmi del cuore

Uno scrittore cieco emigrato a Buenos Aires, Napoli, i luoghi della memoria
GIUSEPPE GARIAZZOITALIA

«Non posso avere paura di casa mia», dice Roberto, voce fuori campo, alla moglie argentina appena dopo avere ricevuto una telefonata dall’Italia che lo informa della morte della madre. Lontano da Napoli da quarant’anni - trascorsi a Buenos Aires, dove si è sposato, è diventato padre di due figlie e scrittore affermato, «borgesiano» - ora l’anziano Roberto deve tornare a casa, e deve farlo da solo, rifiutando la proposta della moglie di accompagnarlo. Il loro breve dialogo è accompagnato da immagini che contengono un magma cromatico, come se la mano di un pittore riempisse una tela di getti informali che si allargano nello spazio di un quadro che corrisponde alla superficie dell’inquadratura, dello schermo. Anticipazioni di un «vedere altro», come si capirà poco dopo, perché Roberto è cieco e non può che vedere, sentire, percepire in una personale visione alterata quello che lo circonda.
NON A CASO, subito dopo, dall’immagine sfocata emerge il suo volto, il dettaglio dei suoi occhi nascosti dietro occhiali neri, all’arrivo a Napoli. Un’ellisse fluida ha «cancellato» il tempo e lo spazio del viaggio. E, appena sbarcato, Roberto incontra il fratello Lorenzo, venuto ad accoglierlo e che non sa nulla della perdita della vista del fratello minore. E da subito c’è qualcosa che non torna. Lorenzo (Andrea Renzi) appare più giovane di Roberto (Renato Carpentieri).
È il doppio incipit di Santa Lucia (da oggi nelle sale), opera d’esordio del trentunenne regista napoletano (che a vent’anni ha lasciato la città partenopea per stabilirsi a Parigi) Marco Chiappetta, realizzata con il sostegno produttivo di Teatri Uniti. Le cose non tornano perché la narrazione di Santa Lucia non è cronologica, ma, come afferma Chiappetta, è «un viaggio nella memoria raccontato non attraverso i classici flashback ma mischiando passato e presente in un vertiginoso flusso di coscienza», con «una sola unità di azione, spazio e tempo, come se gli eventi avvenissero per la prima volta davanti agli occhi di Roberto, testimone della sua stessa vita, che vede senza vedere».
La casa di famiglia alla quale tornare è una dimora adesso vuota, disabitata, che Roberto visita insieme a Lorenzo. Ricordi affiorano. Un semplice spostamento della macchina da presa, infrangendo barriere temporali, fa entrare in campo, senza stacchi di montaggio, istanti di un passato lontano con i fratelli piccoli che giocano, mentre le stanze deserte al passaggio di Roberto si popolano di figure familiari, fantasmi evocati dalla mente dell’anziano scrittore. E non essendo un percorso cronologico, ecco che anche la madre morta, accanto alla quale Roberto si sdraia, appare più giovane del figlio. L’uomo venuto da lontano «vede» secondo una propria soggettività, ricorda i corpi come erano un tempo, gli incontri (anche con quella che fu la sua amica del cuore Carmen, fidanzata mai dimenticata) non accadono se non nella sua mente. Sono corpi-fantasmi quelli che circondano Roberto (e Renato Carpentieri dà un’altra prova magistrale nell’impersonare quest’uomo che si riconnette sensorialmente con la propria storia personale), che si aggirano per la casa, in spazi del quartiere Santa Lucia, in una Napoli colta in un’atmosfera plumbea dominante e fuori dagli stereotipi.
SONO TUTTI morti. Anche Lorenzo lo è. E allora le cose tornano in questo film sussurrato, dalle luci tenui e inscritto in una dimensione di teatralità recitativa che si manifesta su un palcoscenico diffuso rappresentato tanto dagli interni quanto dagli esterni (il molo, il terrazzo panoramico, le scalinate, il bosco, il cimitero, il mare). Ri-pensare il passato significa anche ri-scriverlo.
Camminando su un ponte, Roberto vede/sente venirgli incontro la madre insieme ai due figli piccoli e si volta quando una mano gli sfiora una spalla. È quella di Carmen, giovane donna che gli sorride e toglie gli occhiali rivelando non l’anziano di oggi ma il giovane che Roberto fu. Senza parole esplicative, giocando sulla potenza degli sguardi, Santa Lucia si conclude nell’intimità di un tempo interiore, intimo, ancora una volta mettendo in cortocircuito le età di personaggi ri-chiamati da un ritorno a casa di cui non si può, non si deve, avere paura.

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