INTERNAZIONALE

Il prezzo del cacao è amaro, l’Africa passa al boicottaggio

Profitti record e coltivatori alla fame: Ghana e Costa d’Avorio contro i big del cioccolato
ANDREA SPINELLI BARRILEghana/costa d'avorio

I due più grandi produttori mondiali di cacao, Ghana e Costa d'Avorio, hanno disertato l'incontro del 26 e 27 ottobre a Bruxelles della World Cocoa Foundation (Wcf), un'organizzazione senza scopo di lucro che associa 100 aziende, o meglio multinazionali, tra le quali vi sono i principali fornitori, produttori e rivenditori di cioccolato del mondo. Ne fanno parte marchi come Nestlé, Hershey Company, Mars, Barry Callebaut, Cargill e Starbucks, solo per citarne alcuni, che insieme fanno l'80% del mercato globale del cioccolato.
IL SUO QUARTIER GENERALE è a Washington, ma la Wcf ha anche due sedi in Africa: una a Accra, capitale del Ghana, e una ad Abidjan, in Costa d'Avorio, paesi che insieme rappresentano il 65% della produzione mondiale di cacao ma i cui agricoltori guadagnano meno del 6% del totale dei profitti di questa industria globale, che secondo Fairtrade International ammontano a 135 miliardi di dollari l'anno, mentre secondo l'Organizzazione internazionale del cacao (Icco) «superano i 100 miliardi di dollari» e si ripartiscono prevalentemente «tra una decina di aziende».
Negli anni Settanta i coltivatori di cacao guadagnavano fino al 50% del valore di ogni tavoletta venduta in negozio, cifra scesa al 16% negli anni Ottanta, fino allo scarno 6% di oggi. Un'andamento che mette a rischio la stessa industria del cacao, che paradossalmente deve essere sovvenzionata anche dalla Banca europea degli investimenti (Bei), dall'Unione europea e dal governo svizzero, che pochi giorni fa hanno annunciato lo stanziamento di 450 milioni di euro per sostenere la strategia ivoriana, volta a rafforzare la sostenibilità della catena di valore del cacao. Una goccia nel mare.
UN PARADOSSO diventato uno status quo, nel quale i produttori non vengono adeguatamente retribuiti mentre le grandi aziende aumentano di anno in anno i profitti. Esattamente come per il caffè, la gomma, le terre rare e i minerali. L'Europa promette da anni di aggiornare e attuare aspetti legislativi per controlare la speculazione tramite il mercato europeo, ma per chi raccoglie le fave di cacao, in Ghana e Costa d'Avorio, ci sono solo miseria e difficoltà. La Commissione europea ha proposto diverse leggi volte a vietare, nel caso di lavoro forzato, l’importazione e l’uso di prodotti legati ad abusi ambientali e dei diritti umani. La realtà sul campo è però molto diversa.
Le mosse e le promesse dell'industria cioccolatiera mondiale coincidono, non a caso, con la decisione di Ghana e Costa d'Avorio di creare un'organizzazione del cacao in stile Opec, al fine di coalizzare i paesi produttori e avere più voce in capitolo nel fissare i prezzi all’origine. Negli anni infatti l'industria globale del cioccolato non si è mai mostrata incline a dare ciò che promette.
NEL 2019 I DUE PAESI AFRICANI hanno introdotto un premio da 400 dollari per tonnellata chiamato «differenziale di reddito» (Lid), che però ha spinto gli acquirenti di cacao a ridurre i premi di qualità pagati ai produttori, azzerando l'impatto del Lid. Il premio, pagato con fondi ghanesi e ivoriani, è servito quindi solo a far risparmiare soldi alle multinazionali del cacao.
Il duello va avanti da anni e sembra non avere fine: secondo i produttori di cacao ghanesi e ivoriani, in cima all'elenco dei motivi che portano i paesi produttori al boicottaggio del Wcf c'è il rifiuto delle multinazionali e delle aziende di cioccolato di pagare il giusto prezzo per le fave di cacao, con la maggior parte di queste che si nasconde dietro i cosiddetti «schemi di sostenibilità» per evitare di pagare agli agricoltori un reddito dignitoso. Le due piattaforme di produttori, nel comunicato, spiegano che «Ghana e Costa d'Avorio sono costretti da queste multinazionali a vendere le loro fave di cacao al di sotto del prezzo di mercato prevalente, un prezzo di mercato che è già di per sé ridotto». E accusano le multinazionali del cacao di adottare tattiche di mercato sleali «come meccanismi di differenziazione di origine negativa» che altro non fanno che impoverire ulteriormente i piccoli coltivatori di cacao locali.
LA PIATTAFORMA IVORIANA per il cacao sostenibile e la Piattaforma del cacao della società civile del Ghana, in un comunicato congiunto nel quale si congratulano con la decisione e per il coraggio dei governi dei due paesi africani, parlano espressamente di «boicottaggio»: «Riteniamo sia giunto il momento che il mondo riconosca la politica del doppio standard delle multinazionali del cacao, in particolare per quanto riguarda i prezzi fissati e il deterioramento delle condizioni di vita dei coltivatori, a causa dei loro interessi egoistici che perseguono la massimizzazione dei profitti senza alcun desiderio di distribuirli lungo la catena del valore».
In realtà le grandi multinazionali del cacao investono ogni anno centinaia di milioni di dollari in questo senso: Cadbury, la seconda azienda al mondo produttrice di dolciumi, ha annunciato da poco che da qui al 2030 investirà altri 600 milioni di dollari nell'approvvigionamento sostenibile del cacao, sia per contrastare la povertà che i processi di deforestazione, e quantifica in un miliardo di dollari la cifra che spenderà tra il 2012 e il 2030. Il timore è che tutti questi soldi siano solo una grande operazione di greenwashing.
SECONDO IL WORLD ECONOMIC Forum i coltivatori di cacao in Ghana hanno un reddito medio di circa un euro al giorno, mentre i loro colleghi in Costa d'Avorio guadagnano solo 0,78 euro al giorno, cifre ben al di sotto della soglia di povertà estrema, stabilita a 2,15 euro al giorno dalla Banca Mondiale. Le aziende di cioccolato e i commercianti di cacao sottolineano i vantaggi dei loro programmi di sostenibilità, che mirano ad aiutare le comunità locali, ad esempio con l'offerta di formazione e scuole. Un sistema che in realtà non sta funzionando, se non in senso negativo.

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