VISIONI

Psichedelico e distopico il viaggio dei Black Angels

MUSICA
LUIGI ABIUSI

Pensando alle virate di alcuni dei principali gruppi del rock psichedelico contemporaneo verso stadi elettronici, rif sintetizzati, bassi fraseggi in ripetizione con la catàbasi di gran casse – almeno i Moon duo di Stars Are The Light e i King Gizzard di Butterfly 3000 o, ancora, qualche anno fa, Current dei Tame Impala che diede la stura: tutti lavori peraltro molto belli – l’ultimo disco dei Black Angels è invece un rafforzamento e una sintesi della loro musica fino a questo momento. Uno stile che si muove tra folk, garage, rock psichedelico più propriamente inteso, con picchi di hard-rock e stoner come nel caso di History of the Future, sferzata ritmica, vero e proprio sfrenamento in distorsione e rullante, posto come secondo brano di questo eccezionale Wilderness of Mirrors che si era aperto invece con la pura psichedelia di Without a Trace, qualcosa di rituale nelle giaculatorie sgranate, sognate a più voci nel mezzo del deserto, con echi sullo sfondo e grida di coyote, di peyote.
MENTRE in Empires Falling sono basso elettrico e batteria a esorbitare – soprattutto nelle pause di chitarra –, e a ritmare la voce di Alex Maas che procede astrologando, come in filastrocca: è ancora quell’invocazione alla terra, agli elementi, e l’esorcizzazione dell’imminente catastrofe. Ma Wilderness of Mirrors è tutt’altro che un disco nichilista: anzi è spinta, incitamento vitalistico, a tratti lirico, come nella chiusa di La Pared (Govt. Wall Blues) o nel ritmo largo, come lamento di The River o in Here & now intessuto da un bassofondo malinconico di organetto e di una trama, di una filigrana sugosa di basso elettrico. Oppure ammiccante, malizioso quando in Firefly interviene la voce di LouLou Ghelichkani dei Thievery Corporation che duetta in francese con Maas e crea l’ammicco pop, giocoso, suadente.
CHE DIVENTA qualcosa di avventuroso in Make It Know, dominato dai tom di Stephanie Bailey, ormai celebri soprattutto a partire da Snake in the Grass nel 2008. E poi c’è 100 Flowers of Paracusia, invito al viaggio ora sognante nell’andatura della chitarra acustica, ora in acido di rif e assoli di chitarra elettrica e arabeschi di tastiera. Che è l’ultima cosache sentiremo, la tastiera, ora gocciante, alla fine del disco, alla fine di Suffocation, variazione sull’Aria sulla quarta corda di Bach: congedo dormiente, trasognato dopo l’ebrezza di questo viaggio concitato che è Wilderness of Mirrors.

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