VISIONI

Risorgere dalle proprie ceneri con l’ecologia di Carolyn Carlson

«The Tree», l’ultima creazione della coreografa, si ispira al filosofo Bachelard e alla forza della natura
FRANCESCA PEDRONIITALIA/Ferrara

Una collina dai contorni morbidi, illuminata sullo sfondo dall’arancio sfumato di un’alba incipiente. Sulla destra un albero dai rami secchi. In alto il chiarore di una luna in cui si intravede un disegno, forse un ramo, forse la sagoma giacomettiana di una figura umana. Davanti alla collina tre uomini danno avvio a una danza all’unisono. Un altro ha in mano un gufo di legno, una donna cammina con in mano un fecondo arbusto verde.
È LA VISIONE immaginifica, guidata dai ritmi di una natura benigna, non ancora violata, che apre The Tree, l’ultima creazione di Carolyn Carlson presentata in prima nazionale in apertura del Festival di Danza Contemporanea 2022 del Teatro Comunale di Ferrara e in replica ieri e stasera al Teatro Morlacchi di Perugia. In scena nove danzatori, di cui la maggior parte artisti cardine da anni del lavoro di Carlson come Sara Orselli, Sara Simeoni, Juha Marsalo. Una compagnia cresciuta con un’impronta di linguaggio, una grana nella qualità di movimento frutto della conoscenza nel corpo di un pensiero, una pedagogia.
L’ALBA non è mai immota: nello sfondo appaiono, disegnati, altri alberi, una mistica foresta di segni. I dipinti in proiezione sono dell’artista visivo Gao Xingjjan, le luci trascoloranti del fedele Rémi Nicolas. Un affresco sulla possibilità di rinascita cresciuto durante gli anni della pandemia. Il sottotitolo, Fragments of poetics on fire, è una dichiarazione d’amore al filosofo Gaston Bachelard, già ispiratore con i suoi libri di altri tre spettacoli di Carlson, Eau, Pneuma e Now. Un testo in cui brilla uno dei temi cari alla coreografa: quel mito della fenice che risorge dalle sue ceneri infuocate. La natura riluce infatti nel set come nella danza attraverso una ciclicità che mai si lega alla morte come fine, ma che si apre costantemente a nuove forme di vita. La musica, composta da René Aubry, dal figlio Aleksi Aubry-Carlson e da Maarja Nuut, accompagna il viaggio coreografico come se intorno all’affresco aggiungesse altri mondi: un gruppo di cavalli in corsa per spiagge e praterie deserte, un bosco dove si odono crepitii di legna e di vento, fruscii di foglie. La danza si immerge in una natura la cui bellezza corrisponde a quell’ecologia della scena con cui Carlson ha dato corpo all’ambiente negli anni, si pensi a titoli come Blue Lady, anche quando il rapporto tra uomo e natura non era in pericolo come lo è oggi.
In The Tree i danzatori si integrano nell’immagine, corpi animati dal vento (il bell’assolo di Sara Orselli), donne che danno movimento ai colori della terra, del bosco, di un prato, uomini che portano in scena ballando alti tronchi bianchi in un abbraccio ideale con la natura. I ritmi della danza spaziano, frastagliandosi e ricomponendosi nei sincopati, nei passi trattenuti, nelle pose estatiche, nell’armonia di un legato. Un fluire di coreografie di coppia, unisoni e ensemble in simbiosi con la trasformazione di un paesaggio che i danzatori invitano a contemplare, mentre la musica sul finire si allontana con un leggero cinguettio.
MOLTE le date future di The Tree tra Francia e Spagna, in programma all’Opera di Parigi per giugno ’23 il riallestimento del bellissimo Signes. Nel giugno di quest’anno si è tenuta la cerimonia per la nomina di Carlson a membro dell’Académie des Beaux Arts, un onore toccato a pochi altri coreografi. In apertura del suo appassionato discorso, l’artista ha parlato di sé attraverso una delle sue tante poesie. Si definisce una nomade, una bambina perpetuamente meravigliata, qualcuno che vive ai bordi delle acque e delle foreste. Sentire di cui The Tree è onirica metafora.

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