VISIONI

La caduta di Houria e le battaglie della vita

FESTA DI ROMA
MAZZINO MONTINARIITALIA/ROMA

Houria è una giovane donna algerina che spera di diventare una ballerina classica professionista. Nell’attesa di raggiungere l’ambito traguardo, la mattina si guadagna da vivere facendo le pulizie negli alberghi, mentre la notte assiste a combattimenti tra poveri animali costretti a un feroce spettacolo. La promettente danzatrice scommette e vince parecchi soldi. Tornando a casa, però, è aggredita e derubata da un uomo. Il giorno dopo si ritrova stesa su un letto d’ospedale in pessime condizioni: afonia, un edema e una caviglia rotta, questo il responso. E inoltre una lunga e complicata riabilitazione ad attenderla. Se la sua vita era divisa tra sogni e necessità, ora deve pensare alla mera sopravvivenza, fisica e mentale. Il sentiero che aveva scelto si è interrotto e non porta più da nessuna parte.
NELLA PERDITA della parola si riassume l’obbligo di reinventare un linguaggio, ossia nuovi segni che diano un senso rinnovato all’esistenza. Fin qui Houria, opera seconda di Mounia Meddour, rivelatasi al pubblico con Non conosci Papicha, è il triste racconto di una persona che partecipa a un gioco rischioso e disgraziatamente perde perché in un mondo nel quale prevalgono la forza e gli atti violenti, la possibilità di soccombere è elevata. Così come, è abbastanza probabile che non si ottenga giustizia in un ambiente corrotto e prigioniero di paure e ritorsioni.
PER CERTI VERSI, si può affermare che il film abbia inizio proprio dalla rovinosa caduta di Houria, interpretata da Lyna Khoudri, la cui performance nello splendido Les bienheureux di Sofia Djama, le ha consentito di ricevere il premio come miglior attrice nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia nel 2017.
Cosa fare? Come farlo? Perché farlo? Tre domande che riguardano chi improvvisamente si trova ad affrontare una cesura tra un prima e un dopo. Per Houria il dopo significa certamente guarire, vedersi diversamente, riconoscere ciò che di nuovo è dentro di lei e, più di ogni altra cosa, scoprire nelle altre compagne di avventura un rifugio e, al tempo stesso, una spinta a uscire allo scoperto, ad agire per la propria e altrui liberazione. «Pensa a Sinbad – le dice la sua più cara amica, quando Houria ancora non riesce a ribellarsi –. A ogni morte corrisponde una nuova vita. Potresti essere morta nella tua vecchia vita, ma non è la fine di un viaggio, è solo una fase, l’inizio di una nuova vita».
La riabilitazione, perciò, non è il semplice tentativo di riportare le cose al loro posto. Houria nel centro dove incontra altre donne che hanno subito violenze indicibili, comprende che per un sentiero interrotto se ne possano aprire altri, altrettanto difficili da percorrere e che, tuttavia, rappresentano la ferma volontà di dare battaglia, di esserci.
In concorso alla Festa del Cinema di Roma, Houria è uno di quei titoli che si potrebbero definire edificanti, con una struttura fin troppo delineata, sebbene vi siano molti elementi che danno spazio alla fantasia, come ad esempio le coreografie che la protagonista realizza a partire dal linguaggio dei segni. Resta il dubbio che per raccontare momenti dell’esistenza così complessi e dolorosi, occorra qualcosa di meno sbrigativo e facile all’ascolto come, pensando alla colonna sonora, Felicità di Al Bano e Romina Power e Gloria di Umberto Tozzi.

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