CULTURA

«Birds», se il volo è una condizione aerea e originaria

LUIGI TRUCILLO
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA

Immaginiamo un arco lungo che attraversa i secoli stagliandosi tra il Codice sul volo e sugli uccelli di Leonardo da Vinci e le Osservazioni sul volo degli uccelli di Nanni Balestrini. Tra il 1505 e gli anni cinquanta del Novecento non vi sono analogie se non improprie, salti temporali e di contesto che non consentono vicinanze se non nell’interesse, scientifico o puramente accidentale nella nominazione, verso ciò che sta sopra di noi e che, in tralice e distante, offre la fascinazione di ciò che non è in dote all’umano: volare, sia per una entità macchinica o una metafora storica. Immaginiamo allora delle aperture, simili a fessure di altri sguardi che affondano in luoghi simbolici più antichi, dall’ornitomanzia greca agli auspicia romani, passando per tradizioni non occidentali. In questa direzione, Birds (Giometti & Antonello, pp. 140, euro 22), l’ultima silloge poetica di Luigi Trucillo, sembra inserire il proprio dire in una genealogia critica, biologico-evolutiva, materica e finanche filosofica, con radici aeree e terrestri piuttosto rizomatiche.
CHE COSA abbiano rappresentato gli uccelli per Saba e Pascoli, o albatros, passeri, e gabbiani per Baudelaire, Leopardi e Cardarelli è faccenda nota. Quanto poi volare in stormo ispiri nuovi modelli matematici sulle variazioni di velocità è riportato sul numero di maggio della rivista Nature. Che cosa però sia la tassonomia di ciò che accade in cielo intesa come decostruzione dell’antropocentrismo è questione più contemporanea, riguardante il vivente. E nella traiettoria scelta da Trucillo, poeta napoletano che ha pubblicato sette libri di poesia e due romanzi, il tema è centrale. Diviso in cinque sezioni, Birds segue il percorso di segni, funzioni, cielo, origini e popolo migratore, costruendo un’architettura che da un «fuori luogo» si accorda con il ritmo del mondo, la «durezza del vento», «la resistenza dell’aria» per tratteggiare il movimento, al contempo speculativo ecologico e intimo, degli uccelli e di chi li vede.
INCONTRIAMO per esempio il corvo comune, «l’acuto consigliere/ dell’imperfezione della luce», oppure le rondini, «amuleti/ di sentimenti e rovine» o l’allodola, «precisione dell’istante/ mattino ancora», poi l’oca selvatica, «penne da calamaio/ sciame alfabeto,/ asse saldato dell’infanzia», fino allo spioncello, «tra fame e luce:/ evoluzione/ inesorabile/ senza perché». Negli interstizi metodici e di libertà che attengono l’umano e il non umano, c’è l’occhio lungo di Linneo e Darwin passando per Hegel e Wittgenstein in una contemplazione del circostante che dà misura anche di noi stessi. Per esempio, nella settima poesia che compone la sezione dedicata al cielo, il monito del poeta è preciso: «rimuovere la gravità/ dei distacchi/ tra le correnti d’aria/ che trasparenti spargono/ le forme aperte di una casa». Oppure nei versi di rotta interna che chiudono la sezione «origini» indicandoci una ipotesi di sentiero: «Inesauribile/ ciò che volteggia nell’aria,/ matrice chiara./ Seguendo le sue tracce/ sapevo che non eri lontana,/ pace atterrata».

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