CULTURA

Esplorazioni e fotoreporter spaziali

Anticipiamo un estratto dall’intervento al «Festival della innovazione e della scienza»
SIMONE PIRROTTAITALIA

Lo Spazio è la frontiera ultima del genere umano, l’ambiente in cui la nostra astronave-Terra è immersa e dalla quale ci affacciamo, sia per scrutare lontano con telescopi potenti rivolti «lontano», che per esplorare il nostro vicinato. Difatti, sebbene proprio vicini non siano, i pianeti, le loro lune e gli altri corpi celesti che costituiscono il Sistema Solare sono i soli al momento a poter essere raggiunti dalle sonde robotiche e poi magari un giorno dai nostri emissari, gli astronauti. La pulsione ad esplorare è innata, forte e difficile da ignorare, e così da decenni ormai ci prepariamo a questo passo verso altri mondi che potrebbe un giorno renderci una specie multi-planetaria. Ma prima di inviare esploratori molto capaci, eppure fragili come i nostri simili, preferiamo per sicurezza inviare sonde robotiche, satelliti, lander o rover carichi di strumenti che ci raccontino ad esempio che temperature possiamo aspettarci, che composizione abbia l’atmosfera o il suolo altrove, se ci sia o ci sia stata acqua ed altre informazioni simili, talvolta letteralmente vitali.
COSÌ, la storia dell’esplorazione spaziale è ricca di imprese avventurose, missioni ambiziose per le quali è stato da sempre necessario dotarsi di fotoreporter con il compito di documentare eventi e ambienti lontani. Tra queste «informazioni», le immagini acquisite da fotocamere nelle bande visibili sono le più immediate e subito percepibili e utilizzabili anche dai non-scienziati. E difatti, buona parte delle missioni prevede l’uso di fotocamere molto simili alle reflex in dotazione a fotografi professionisti e principianti, pronte a svelare come appaiono questi altri mondi e ad aiutarci a comprenderli.
Di recente, a compiere una delle missioni fotografiche più emozionanti ed ambiziose è stato il piccolo satellite italiano LiciaCube, il reporter robotico così audace da accompagnare una missione rischiosa e autodistruttiva come quella della sonda Dart di Nasa. Lanciate insieme nel Novembre del 2021, hanno viaggiato nel Sistema Solare per mesi fino a individuare il loro obiettivo: una coppia di asteroidi, due oggetti rocciosi di qualche centinaio di metri che orbitano uno intorno all’altro e insieme sfrecciano a decine di milioni di chilometri da noi.
L’OBIETTIVO DI DART era chiaro: schiantarsi sul più piccolo dei due e verificare se questo impatto consentisse di modificare l’orbita; si tratta quindi di un test nell’ambito di quella che è definita come «Difesa Planetaria», in particolare di quella attiva, in cui non stiamo solo a guardare e fare gli scongiuri che nessun asteroide minacci la Terra ma proviamo anche a capire se saremo in grado di intervenire con un colpo salvifico ben assestato, in caso di pericolo futuro. Ad accertare l’efficacia di tutto questo erano coinvolti i più acuti telescopi che abbiamo costruito, però con i limiti di chi può verificare ma solo da lontano. E così, nell’estate del 2017 l’Agenzia Spaziale Italiana ha proposto alla omologa Nasa di affiancare a Dart un satellite piccolo ma agile, pronto a sganciarci prima dell’impatto kamikaze, a manovrare per passare in prossimità della scena ed a scattare foto da un punto di vista unico e speciale. La finalità non era solo quella di confermare l’avvenuta collisione, ma anche di approfondire la conoscenza di questi corpi celesti, di parametri come forma, composizione, densità e massa, e magari ipotizzarne anche l’origine. Tutto questo è effettivamente avvenuto nella seconda metà di settembre, ed è andato tutto come da programma: Dart ha centrato l’asteroide Dimorphos, e LiciaCube ha effettuato il suo sorvolo ad altissima velocità, catturando immagini e trasmettendone una prima parte ai terminali del centro di controllo a Torino e poi dell’archivio scientifico di Roma. Le foto sono presto circolate nel gruppo di scienziati italiani e statunitensi che hanno preparato congiuntamente le missioni, destando una certa meraviglia: gli sbuffi di rocce e polveri sembrano più accentuati del previsto e promettono di regalare materiale e dati per analisi nei prossimi mesi.
COSÌ, DART ha già dimostrato la capacità delle nostre tecnologie di mirare e centrare un bersaglio piccolo, veloce e distante; se poi anche la modifica della traiettoria sia stata ottenuta ci vorrà tempo per dirlo. Certo è che la missione detiene già diversi record, tra cui la prima volta in cui l’uomo altera artificialmente e intenzionalmente un equilibrio naturale su scala planetaria come l’orbita di un corpo celeste. Questa volta però, a fin di bene. Anche per LiciaCube, alla luce dei primi risultati, è stato possibile dichiarare il «missione compiuta». (…) E mentre il lavoro dei tecnici di LiciaCube è in buona parte concluso e quello degli scienziati sta entrando nel vivo, ci si interroga sulla eredità della missione, che promette di essere al tempo stesso pesante e preziosa.

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