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Se guardassimo il mondo con occhi materni

In una parola
ALBERTO LEISSITALIA/MILANO

Ogni tanto, anzi sempre più spesso, penso che i fatti orrendi e catastrofici che accadono nel mondo dipendano in un modo o nell’altro dal fallimento - un fallimento colpevole - di quella grande, radicale ipotesi di cambiamento dello stato delle cose che si è chiamato «comunismo».
Quel che resta della sinistra perde perché, in trent’anni abbondanti, non è riuscita a fare i conti davvero con quel fallimento.
E credo non sia un caso che una guerra ormai giunta al limite inaudito dell’uso delle armi nucleari sia esplosa - annunciata da molto tempo - nel cuore non solo dell’Europa, ma del territorio russo-europeo che è stato teatro tragico di quel fallimento.
Domenica mattina ho potuto assistere, pur trovandomi a qualche migliaio di chilometri di distanza, alla discussione che la Libreria delle donne di Milano ha organizzato “sulla maternità”. Un confronto aperto da Silvia Baratella, Marta Equi e Daniela Santoro e introdotto da questa constatazione: «Oggi la maternità non è più un destino. Grazie alle precedenti generazioni di femminismo, si colloca nell’orizzonte della libertà femminile come un desiderio e una possibilità che una donna può cogliere o no, senza esserne definita. Tuttavia in questione c’è il valore simbolico dell’essere tutte e tutti nati di donna, che non sembra ancora riconosciuto dalla società nel suo insieme».
A un certo punto Lia Cigarini - una donna che ha scelto di non essere madre ma che afferma la «relazione materna» come valore simbolico fondamentale - ha osservato che il principio fondante del comunismo: da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni, si realizza finora in una unica relazione realmente esistente. Quella della madre con i propri figli. Ma i capi del movimento operaio, pur avendo questa realtà ogni giorno sotto i propri occhi, non hanno saputo e forse voluto vederla.
Hanno continuato a pensare e a agire come se spettasse solo a loro maschi di decidere tutto.
Non sarà proprio qui l’origine della sconfitta del comunismo? Ne ha convenuto un’altra femminista «storica», Alessandra Bocchetti: quella «magnifica impresa» è fallita perché dietro il proposito di assicurare a ognuno il proprio bisogno agiva «l’idea della giustizia che è uguale per tutti». Qualcosa di irriducibile «all’attenzione e all’amore» che sa vedere le differenze.
D’altra parte il modo con cui si parla sulla scena pubblica della maternità - questione che ha avuto un certo peso nella campagna elettorale appena conclusa, e non solo per le affermazioni più o meno urlate di Giorgia Meloni - presenta profonde distorsioni.
Ci si allarma per la crisi delle nascite (mentre il mondo intanto cresce ormai a quasi 8 miliardi di individui e individue) e si rivendica il «diritto» all’aborto, minacciato dall’ansia maschile e patriarcale di re-impossessarsi del controllo sul corpo femminile.
Ma - ha osservato Letizia Paolozzi - non si interpellano le giovani donne che scelgono, non solo per motivi materiali, di non fare figli, e il discorso pubblico si ferma all’aborto «che non è nell’orizzonte simbolico della libertà». E sull’aborto, ha aggiunto Giordana Masotto, quando si manifesterà anche una responsabilizzazione degli uomini? Sono forse estranei alle dinamiche riproduttive e ai comportamenti sessuali?
Gli uomini mi pare non ci fossero alla riunione. Io sono rimasto in silenzio.
Ho scritto «sinistra». Avrei dovuto parlare dell’incapacità di auto riflessione prima di tutto dei suoi dirigenti maschi. Non possiamo usare uno sguardo materno, ma finché non vedremo e non sapremo parlare la differenza che attraversa anche noi, temo che nulla cambierà in meglio.

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