POLITICA

Il finanziamento pubblico serve alla democrazia

STAMPA ROMANAITALIA/ROMA

Tra le ipotesi sul tavolo per definire i tagli alla spesa pubblica nel Def spunta l’ipotesi di azzerare il fondo pubblico per l’editoria.
Forse è il caso di sgombrare alcuni equivoci. Il fondo per l’editoria, dopo l’ultima riforma, è ridotto a una cinquantina di milioni di euro, avendone persi 150 negli ultimi anni. Non finanzia i grandi quotidiani ma le voci legate ad un pensiero critico e non omologato e la piccola editoria territoriale.
Pensare che testate come il manifesto e l'Avvenire, tra le cinque che prendono più soldi, siano monopolisti lascia a bocca aperta. Non solo quelle testate hanno ottenuto i finanziamenti rispettando le regole ma tutto ci sembrano tranne che minacciosi oligopoli. La loro voce ha rilievo anche per chi dirige il Paese. Basti pensare alla campagna sulla ludopatia condotta da Avvenire che ha costituito la base per un pezzo del decreto Dignità. Qui nel Lazio quello che resta dell’editoria dei territori con i contratti di lavoro in regola si regge sul finanziamento pubblico.
Ricordiamo tutti questi passaggi per difendere il finanziamento pubblico. Non rappresenta una sottrazione di risorse per i cittadini, né uno spreco. I tempi di Lavitola sono finiti.
Il ministro del lavoro Di Maio deve anche pensare che così saltano centinaia di posti di lavoro. E se oggi tu Stato risparmi cancellando 50 milioni, domani tu Stato paghi e molto in termini di assistenza sociale diretta e indiretta agli stessi lavoratori. Non è insomma un gioco a costo zero.
Ultima considerazione. Proprio perché consideriamo l’intervento pubblico anche un presidio per correggere le distorsioni del mercato privato tra conflitti di interesse, concentrazioni pubblicitarie, over the top sanguisughe, vogliamo che lo Stato riscopra una vocazione a fare politiche industriali anche in un settore come il nostro usando la leva del finanziamento pubblico. E che si apra al più presto una riflessione ampia sul sistema che coinvolga il Parlamento, i sindacati e gli editori.

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