SOCIETA

Il corpo recluso senza alcuna difesa

Medici penitenziari
SUSANNA RONCONIITALIA/ivrea

Anche nei fatti di Ivrea emerge in modo inquietante il ruolo dei medici. Inquietante perché appaiono silenti o complici attivi della violazione del corpo recluso, quel corpo che Daniel Gonin, medico penitenziario che molto ne ha scritto, descrive come «quel sacco di pelle» dentro cui chi è detenuto tenta di proteggersi, di rimanere intero. Un sacco di pelle aggredito, offeso, lacerato, che si ritrova senza alcun difensore. Il medico dovrebbe essere questo difensore: per deontologia, per dovere, per dignità, per autonomia. La complicità dovrebbe essere quella tra medico e paziente, con il suo diritto all’inviolabilità e alla cura, non con chi vi attenta.
Inquietante anche perché questa subordinazione ancillare dei medici ai poteri che governano il carcere, e ai suoi riti più oscuri e violenti, è ricorrente, non una eccezione. Fa impressione leggere i verbali delle violenze a Sollicciano, a San Gimignano, a Torino, fino ai morti del carcere di Modena: pongono interrogativi radicali non solo sui singoli medici coinvolti, ma su un sistema e su una cultura della pena. Il corpo di chi è recluso/a appare un corpo a perdere, un corpo-oggetto, su cui già si esercitano tutti i dispositivi di annichilimento della detenzione, ed è proprio per questo che dovrebbe scandalizzare che chi ne ha (ne dovrebbe avere) la tutela, giri lo sguardo o peggio regga il gioco, come se lavorare lì dentro significasse derogare a tutto ciò che un medico deve fare ed essere. Con il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, nel 2008, si intendeva avvicinare il diritto alla salute di chi è recluso a quello di ogni altro cittadino. Insomma, pari prestazioni e pari diritti. Non è andata così, non sta andando così. E non solo nelle situazioni più estreme, dove il gesto di un medico può salvare incolumità, dignità e vita di chi è recluso; ma anche spesso – fatti salvi quanti restano fedeli alla loro professione - nel quotidiano, quando si ha a che fare con il rispetto di privacy e riservatezza, con il diritto alle cure, con condizioni (aria, luce, movimento, cibo, isolamento...) che violano salute e diritti fondamentali. Troppo spesso si glissa, si deroga, si delega. Si tace. Questa ancillarità non è giustificata dalla legge, è solo una questione di potere, tra poteri. La professione medica dovrebbe rivendicare il suo, di potere: che è quello di non permettere che «quel sacco di pelle» venga lacerato.
*Forum Droghe

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