VISIONI

Edda: «Musica e canto sono come un flusso di coscienza»

Esce domani «Illusion», sesto album dell’ex frontman dei Ritmo Tribale
CECILIA ERMINIITALIA/MILANO

Intimamente scisso fra sacro e profano e maschile e femminile, Edda, alias Stefano Rampoldi, torna sulla scena discografica con il disco Illusion. Disponibile da domani, il sesto album in studio dell’ex frontman dei Ritmo Tribale è composto da 11 tracce, prodotte da Gianni Maroccolo (già bassista, tra gli altri, dei Litfiba e dei C.S.I.). Una collaborazione iniziata nel 2020 quando, in pieno lockdown, i due registrarono a distanza una serie di brani sorprendenti, fra ballate sghembe e influenze beat anni ’70, successivamente raccolti nel disco Noio; volevam suonar. «Per mia natura non cerco mai nessuno» ci racconta Edda con la consueta mistura di autoironia e umiltà «Così, quando Gianni mi ha proposto di produrre il nuovo disco non potevo che dirgli di sì. Fin da subito mi ha detto che voleva farmi suonare la chitarra e avevo paura perché in realtà non so suonare. Da produttore vede cose che nemmeno io riesco a vedere».
APERTO dalla sognante Mio capitano, l’album è quasi essenziale nel suo concentrarsi quasi unicamente su voce e arpeggi di chitarre, con l’eccezione di L’ignoranza in puro stile anarchico alla Frank Zappa, e sembra ripercorre i sentieri onirici dello shoegaze anni ’90 «Ha fatto tutto Gianni. Io scrivo e canto canzoni, mentre tutto quello che riguarda il suono è stata opera sua. Io mi concentro solo sulla melodia e credo sia stato quello ad averlo colpito quando gli ho mandato i provini delle canzoni che avevo registrato sul mio iPad». Una nuova veste sonora quasi dream pop dunque - con echi ritmici dei The Jesus and Mary Chain e certe dolcezze urticanti di The Velvet Underground and Nico – che però non rinuncia al piacere del calembour lirico che ormai contraddistingue da anni la produzione del cantautore milanese.
«QUANDO comincio a scrivere parto di default con l’italiano. Da ragazzino invece canticchiavo in inglese quando componevo. Nei miei testi mi piace pensare di rilasciare dei blocchi emotivi fortissimi e vado sempre alla ricerca di parole che “suonino” bene, senza preoccuparmi del senso logico. Non ne faccio una questione esclusivamente di metrica, è più un flusso di coscienza e scopro solo in un secondo momento il significato di quello che canto. Per me la musica e il canto sono emotività. Vivo la musica a un altro livello, come se le canzoni fossero ninne nanne, prima c’è la voce, poi il suono e l’emozione. Credo che le mie liriche abbiano una forte musicalità dovuta proprio alla ricerca di suoni che mi emozionano».
L’ALBUM, come ha dichiarato Gianni Maroccolo, «ha una scrittura di altissimo spessore, una vocalità fuori dal comune, e un chitarrismo unico» che finalmente emerge in tutta la sua potenza. Spogliato dunque degli elaborati arrangiamenti pop e funky che impreziosivano dischi precedenti come Graziosa utopia e Frufru, Illusion segna immediatamente anche uno scarto dal punto di vista vocale «Alcuni brani non avrei saputo scriverli a vent’anni, o meglio non avrei saputo cantarli. Ad esempio un pezzo come Trema. Prima ero un cantante rock, un urlatore e non mi rendevo neanche conto di come cantavo. Oggi è diverso. Anche per quanto riguarda la mia chitarra. Nessuno sano di mente mi farebbe suonare in un disco e invece Gianni ha tanto insistito. In passato l’ho fatto, ma era una chitarra riempitiva mentre invece in Illusion a volte ci sono pezzi dove gli strumenti sono tre e quindi le parti di chitarra sono in primissimo piano. Alla fine, credo di aver scritto delle buone canzoni e continuerò a farlo. Anche perché se non facessi musica sarei la versione peggiore di me stesso».

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