CULTURA

Lo stupore del mondo in un gioco di specchi

Fino al 22 gennaio 2023, la mostra «Nel tuo tempo» a Palazzo Strozzi
ARIANNA DI GENOVAITALIA/FIRENZE

L’aria che respiriamo, l’atmosfera che ci avvolge, gli spazi che abitiamo o attraversiamo fugacemente vengono spesso dimenticati come soggetti collettivi e politici, mentre sono limpidi «agenti della comunità». È così che l’artista islandese di origini e danese di adozione (1967, vive fra Copenaghen e Berlino) Olafur Eliasson intende presentare la sua mostra immersiva a Palazzo Strozzi, Nel tuo tempo (visitabile fino al 22 gennaio 2023, a cura di Arturo Galansino che dirige la Fondazione). Non un’infilata di stanze con alcune opere allestite tra le pareti di un edificio-scrigno, ma un processo esperienziale che cambia seguendo il ritmo delle stagioni, il mutare meteorologico, gli improvvisi slittamenti emozionali.
L’ARCHITETTURA - e più che mai se ha una storia densa come quella sfoggiata da Palazzo Strozzi a Firenze - si fa produttrice sprigionando una energia centrifuga e spogliandosi della sua immobile sembianza di quinta scenografica. «Mi piace pensare - dice Eliasson - che l’arte consista nella qualità dell’esperienza che ognuno vive, qualcosa che ci conduce a rinegoziare la realtà, che non è oggettiva ma attinge alla nostra storia individuale, alle nostre radici e viene influenzata dalle circostanze del momento». Si può guardare alla stessa finestra (essa stessa lente deformante) e vedere cose diverse, moltiplicare i punti di vista, imbastire su quelle prospettive divergenti un’idea sana di «comunità».
Per un artista totale come Eliasson (con gli specialisti del suo studio, attivissimo in numerosi progetti per il mondo, ha anche costruito la meravigliosa Fjordenhus, nella città di Vejle e direttamente nell’acqua: un edificio attraversato dal paesaggio, rivestito da mura permeabili alle rifrazioni della luce) essere consapevolmente parte del gioco è la premessa fondamentale per visitare le sue esposizioni interattive. In ogni suo lavoro - sia il sole artificiale della Tate che «bagnava» gli spettatori attoniti, sia i blocchi di ghiaccio in veloce dissoluzione (nell’installazione Ice Watch) che raccontavano nelle piazze pubbliche il dolore della natura violata dall’essere umano - c’è il simulacro di una Terra che si specchia nel cosmo con quelle sue forme geometriche misteriose e spesso inafferrabili, tentando di arginare la sua possibile sparizione con caleidoscopici movimenti di immagini (e immaginario). Lo stupore prima della catastrofe.
«Quando con Ice Watch puoi toccare un ’cumulo’ di ghiaccio in scioglimento della Groenlandia, senti fisicamente il tempo che passa e il cambiamento climatico ti appare molto più immediato rispetto alla lettura di un articolo di giornale o di dati dei ricercatori. L’arte parla un linguaggio diretto. In una manciata di minuti, quel ghiaccio può comunicare più di quanto si possa dire in centinaia di pagine di un saggio scientifico».
Bisogna, infatti, essere dentro il tempo, dice l’artista, cronologico certo ma anche quello invisibile e atmosferico, sperimentare gli accadimenti. Come in Palazzo Strozzi, dove le griglie delle finestre si riflettono sulle pareti nutrendosi del lento avvicendarsi del giorno e della notte, ricordando le vetrate gotiche delle cattedrali, le partiture delle pale d’altare e, nel loro disegno geometrico perfetto privo di sbavature, il rigido principio del potere delle corti rinascimentali.
NON È UN CASO che fra i numi tutelari delle sue letture ci sia Bruno Latour e per altri versi, anche l’argentina Maria Lugones, filosofa femminista che ha ribaltato il concetto di percezione, smascherandone l’humus coloniale quando l’abilità sensoriale si trasforma in un pensiero a senso unico e si fa «arrogante». Invece, per Eliasson la percezione è fluida, non può prescindere dal nostro corpo o dai nostri fantasmi ed evocazioni. È come l’arcobaleno-miraggio che si forma sotto la vaporizzazione della cascata al passaggio del visitatore disorientato che affronta quella barriera pulviscolare (senza dimenticare le spettacolari waterfalls che nel 2008 aveva magicamente prodotto sotto il ponte di Brooklyn a New York).
ELIASSON SOSTIENE di avere un debole per tutte le forme sferiche, le trova potenti detonatori di un significato già dato, aperture all’ignoto: soprattutto se catalizzano riflessi, rifrazioni luminose, mentre le superfici specchianti «ingannano» lo sguardo, lo ribaltano, lo obbligano a reinventare ciò che vedono. Anche quando, a volte, le sale espositive sono vuote, galleggianti in un colore monocromo. È un esercizio di democrazia il suo, in fondo. Stare insieme nello stesso spazio e percepire ognuno situazioni differenti, anche contrastanti, senza che una elida l’altra, tutte legittime, come se la mostra «si mettesse in ascolto del singolo individuo», fosse un parlamento il cui telaio è rappresentato dalla variabilità delle opinioni.
VIVERE il proprio tempo significa anche interrogarsi sulla crisi del pianeta ed è compito non soltanto dei governi e cittadini del mondo offrire soluzioni. Gli artisti, afferma Eliasson, possono scendere in campo per una assunzione di responsabilità. Sia controllando le emissioni nocive durante la preparazione delle mostre (l’impatto ambientale delle proprie idee) sia producendo oggetti di design come Little Sun, per favorire la transizione ecologica e far arrivare la luce dove c’è mancanza di elettricità (in alcuni paesi africani e del latinoamerica): è una piccola lampada portatile alimentata dall’energia solare, utile per attività dal sapore intimo, tipo cucinare o leggere.

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