VISIONI

«Videodrome», il senso dell’immagine tra allucinazioni, misteri e realtà

TORNA IN SALA IL CULT DI CRONENBERG
REDAZIONEITALIA

«L’idea nasceva dalle numerose ore notturne che avevo trascorso davanti alla televisione da bambino, quando mi capitava di vedere improvvisamente dei segnali causati da interferenze. Era stata quell’esperienza che mi aveva portato a immaginare un uomo che capta per caso un segnale bizzarro, estremo, violento e molto pericoloso. A causa del suo contenuto ne diventa ossessionato, cerca di rintracciarlo e si trova invischiato in un intricato mistero. Quando cominciai a scrivere, la storia prese improvvisamente ad alterarsi ... Ciò che avevo scritto mi aveva davvero sbalordito. Se intendi fare dell’arte, devi esplorare alcuni aspetti della tua vita senza riferimenti a istanze o a posizioni politiche». Così David Cronenberg a proposito di Videodrome, quello che si può considerare il suo film «manifesto», e che ora torna in sala, grazie alla Cineteca di Bologna, nell’edizione restaurata da Arrow Films.
Quando apparve, nel 1983, fu uno schock per la potenza della riflessione che metteva in campo sul cinema stesso, sul suo rapporto con gli altri media e con il corpo dello spettattore.
LA STORIA di Max Renn - interpretato da James Woods - proprietario di una tv privata che trasmette film porno e sprofonda nell’ossessione di un segnale pirata con immagini di violenze e torture, esplora quell’idea di una «nuova carne», di un corpo umano mutante e allucinato che aspira a divenire macchina fino a esplodere. Cronenberg lavora sull’attrazione e l’orrore dell’occhio umano verso quelle immagini che sono i propri incubi e le proprie fantasie, replicate all’infinito sullo schermo televisivo. Anche se Videodrome non si può certo limitare alla sola «critica» verso la televisione e verso quella che è l’intossicazione delle immagini con gli effetti che produce sul corpo umano. Il film - nel quale compare anche Deborah Harry, la cantante di Blondie - l’autore libera le proprie ossessioni, il corpo impazzito, l’alienazione, il virtuale che inghiotte il reale seguendo a partire da quello che può essere definito un soggetto «classico - come la sfida di Prometeo e la contaminazione - una intuzione teorica del tutto inedita. Che lo porta lontano dal cinema fantastico o dall’horror, verso l’essenza stessa delle immagini moderne, la loro produzione e il loro rapporto con la realtà

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