VISIONI

«Jules Verne», l’immaginazione radicale in forma di spettacolo per Battistelli

BIENNALE MUSICA
MARCELLO LORRAIITALIA/VENEZIA

«Fallire ancora, fallire meglio»: Giorgio Battistelli chiude con queste parole il suo breve ringraziamento dopo che Lucia Ronchetti, nella lunga storia della Biennale Musica prima donna nel ruolo di direttore artistico (al suo secondo anno di mandato), ha esposto le motivazioni con cui gli viene conferito il Leone d’Oro alla carriera. Una citazione di Samuel Beckett che dice della sua idea di lavoro artistico come approssimazione mai soddisfatta alle intenzioni, e della tensione ad una continua ricerca, in un percorso in cui ha rifiutato l’idea dell’arte per l’arte e l’ha intesa invece come impegno – dice – anche «morale». Un percorso nel quale gli preme smentire l’esistenza di «contrapposizioni». Tanto che tocca la questione, parlando invece di una «costellazione» di opere, già appunto in sede di ringraziamento, per poi ribadire e articolare il concetto nella conversazione che segue con la musicologa Helga de la Motte.
NON INSOMMA un «primo» Battistelli radicale innovatore del teatro musicale con lavori come Experimentum Mundi (1981) – che domenica 25 verrà riproposto in chiusura di questa 66esima Biennale Musica – e Jules Verne (di qualche anno dopo) – a cui è stata invece affidata l’apertura – e poi un Battistelli più tardo e meno rivoluzionario: piuttosto un «dialogo» che continua fra le opere più vecchie e quelle più recenti, malgrado le differenze di linguaggio. «Ci sono delle connessioni – afferma - tra Jules Verne e la mia ultima opera, Le baruffe», presentata a Venezia in febbraio, alla Fenice; e aggiunge che non gli piace la coerenza stilistica, e che spesso gli autori cambiano temi ma non linguaggio musicale: in questo senso Battistelli sembra propugnare una immedesimazione in un tema, da cui ricavare delle scelte di linguaggio.
Battistelli si prende anche il gusto di un aneddoto a cui tiene. In Experimentum Mundi c’è in scena un assortimento di artigiani che producono i suoni e i rumori propri delle loro attività, e fra questi anche dei pastai; in occasione della rappresentazione del lavoro a Parigi negli ottanta, ogni sera alla fine dello spettacolo le maestranze tecniche del teatro chiedevano di avere la pasta fatta sul palco per cuocersela. Da cui la battuta di Battistelli a Pierre Boulez: «tu hai fatto delle grandi cose, ma io ho fatto la musica contemporanea che può essere mangiata».
PRESENTATO in prima assoluta in versione italiana nella serata inaugurale, mercoledì Jules Verne è stato accolto con un’entusiasmo che in una ventina d’anni di frequentazione raramente ci è capitato di riscontrare ad un appuntamento della Biennale Musica. Il Jules Verne si presenta come una «Immaginazione in forma di spettacolo»: i tre protagonisti sono i personaggi principali di Viaggio al centro della Terra, Cinque settimane in pallone, e Ventimila leghe sotto i mari, ma, ha precisato Battistelli, «non c’è nessuna citazione dai tre romanzi, ci sono invece i rumori e i suoni che le tre storie contengono». In scena tutto un arsenale di percussioni, un pianoforte, un sax alto (nell’originale era una tromba), e le voci dei tre interpreti, ma anche una quantità di fonti sonore non convenzionali: una vela, un argano, delle pile di mattoni che vengono buttate giù, un cannone, una pistola che col suo sparo conclude lo spettacolo, e una vasca trasparente in cui tiene i piedi Capitano Nemo mentre suona la marimba, e muovendoli produce dei suoni d’acqua, per infine immergercisi completamente. Lidenbrock, Ferguson e Nemo raccontano sé stessi e discutono di chi fra loro sia il personaggio prediletto da Verne.
L’USO DELLE PERCUSSIONI e degli altri strumenti, convenzionali e non, è ironico e poetico, il tutto è deliziosamente surreale, e l’esecuzione richiede una grande maestria da parte dei performer/attori, Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri ovvero il trio di percussioni Ars Ludi che hanno fondato nell’87. Illustrazione migliore del Jules Verne non avrebbe potuto esserci per le motivazioni del Leone d’Argento attribuito ad Ars Ludi: una formazione che «coniuga il virtuosismo strumentale alla performance teatrale», e che rappresenta il dispiegamento in scena di un armamentario percussivo contemporaneo che già di per sé attinge la dimensione del teatro musicale.

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