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Ecosistema ghiacciaio

ENRICO CAMANNIITALIA/VALLE D'AOSTA

Come un organismo vivente, il fiume di ghiaccio nasce, cresce, deperisce e muore: al punto che si può scorgere qualcosa di osceno nel corpo spogliato di un ghiacciaio, una nudità cadaverica. Dopo la scomparsa servono anni perché sul letto di pietra spunti un fiore, e tra l’ultima candida zolla e la prima parvenza di verde si consuma un lungo calvario di consunzione: la neve fonde, l’acqua cola in rivoli terrosi, le rocce franano a valle; restano il pietrame, la sabbia, il deserto. A morte avvenuta, dal letto vuoto sale il tanfo di un corpo putrefatto, che si nutriva di freddo e soffriva di calore.
QUEST’ANNO ne sono morti tanti, sulle Alpi e altrove; hanno ricevuto il colpo di grazia. Mentre la Marmolada perdeva la testa, cioè la calotta di ghiaccio, sull’arco alpino sparivano gli ultimi nevai “perenni”, che tali non sono, i ghiacciai sotto i 3.500 metri smagrivano fino al punto di non ritorno e fondevano a vista d’occhio anche gli altri, i più grandi e famosi. Quelli delle cartoline. Guardate le immagini della Mer de Glace: è un mare di ghiaia. Osservate il Cervino: un blocco di pietra. Sulle Alpi le temperature stanno crescendo a velocità doppia rispetto alla media: a fine luglio lo zero termico era a 5.184 metri, molto più in alto della cima più alta. Il nuovo paesaggio alpino d’alta quota ricorda una folla di corpi spogliati e nudi. Anche gli ultimi avamposti dello sci estivo - Plateau Rosa e lo Stelvio - hanno dovuto cedere alle frustate del riscaldamento climatico, che ha spazzato le illusioni moderniste di quarant’anni fa e il sogno della neve di Ferragosto. Il Livrio scongelato segna la fine di un’epoca smodatamente ottimista e contronatura.
E POI C’È L’ACQUA, fonte di ogni esistenza. Tra alluvioni e siccità, ce n’è sempre troppa o troppo poca. Alla fine della piccola età glaciale, verso la metà dell’Ottocento, lo storico parigino Jules Michelet scriveva che «le Alpi sono il serbatoio dell’Europa e il teatro delle alte relazioni che intercorrono fra correnti atmosferiche, venti, vapori e nuvole... Li accomunano sotto forma di ghiacciai e li distribuiscono equamente fra le nazioni».
L’immagine non è retorica, perché la neve e il ghiaccio hanno realmente il potere di immagazzinare l’acqua d’inverno e restituirla gradualmente tra la primavera e l’estate, alimentando torrenti e fiumi, ma anche fontane, acquedotti e campagne, dissetandoci con giudizio e proteggendoci dalle inondazioni e dagli sprechi.
Dai tempi di Michelet i serbatoi idrici d’alta quota si sono ridotti almeno del cinquanta per cento, con botte pesantissime nel 2003 e nel 2022, ma finché l’acqua delle montagne ha continuato a dissetare le città, a illuminare le case e perfino a innevare artificialmente le piste di sci, nessuno s’è posto il problema che un giorno potesse scarseggiare o addirittura mancare, ed è l’altra faccia di quest’estate anomala, che purtroppo non lo è più. Il caldo eccezionale registrato tra la fine di maggio e i primi di agosto s’è “posato” su una montagna già quasi secca a tarda primavera, quando i serbatoi avrebbero dovuto essere colmi.
Dunque il ghiacciaio non è solo un bello spettacolo romantico o l’ultima frontiera per il consumismo della montagna. Il ghiacciaio è anche altro, ed è di più. È l’ecosistema che registra con maggiore precisione e con sorprendente anticipo i cambiamenti del clima e il destino della vita. La scomparsa dei ghiacciai non è semplicemente un problema estetico, è la lente puntata sul futuro.
LA CAROVANA dei ghiacciai di Legambiente, che partirà oggi dai piedi del Monte Bianco, non è una processione nostalgica e nemmeno un corteo funebre, come ne sono stati fatti in Islanda dopo la scomparsa dei ghiacciai. La Carovana di fine estate è una delle attuali opportunità - e tra le più sconvolgenti - per comprendere lo stato di salute o di perversione del sistema produttivo ed economico, dei nostri stili di vita, dell’avvenire che ci aspetta. Le specie vegetali e animali stanno già reagendo colonizzando le fasce di terreno liberate dal ghiaccio, ma l’uomo che dovrebbe essere una delle specie più adattabili, e lo ha dimostrato nei millenni abitando terre e latitudini estreme, non è affatto pronto a cambiare. Il sistema capitalistico non lo è.
Si partirà dal più himalayano tra i ghiacciai meridionali delle Alpi italiane, il Miage, un fiume gelato che scende a sfiorare i prati della Val Veny e un tempo la riempiva. Oggi il fiume è grigio perché il ghiacciaio è coperto da uno spesso strato di rocce e detriti, come un gigantesco dinosauro imbalsamato. Oggi si cammina sui sassi ma sotto c’è la storia delle montagne e c’è anche la nostra storia, fissata negli strati sovrapposti del ghiaccio. Ogni tanto il ghiacciaio restituisce dei brandelli di ciò che siamo stati e di come siamo diventati, dalla stoffa dei pionieri alla plastica dei conquistatori.

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