VISIONI

L’indipendenza amorosa del cinema

PALMARÈS
CRISTINA PICCINOITALIA/VENEZIA

Ha vinto il cinema meno «fracassone» in una selezione che a volte è apparsa sbilanciata nei suoi percorsi, non sempre capace di equilibrare le proprie scelte. Un cinema senza gli effetti speciali emozionali e i sentimenti tronfi sovraesposti nella sua macchina produttiva mentale prima che di denaro (tipo quella dei film targati Netflix in gara), che dichiara uno sguardo personale e sa al tempo stesso come affermare il proprio spazio nel sistema mondiale – quasi di certo molti dei premiati li ritroveremo nelle nomine delll'Academy. Che nelle sue invenzioni formali si confronta col sentimento del tempo, inventa una narrazione, una forma, un'immagine con in sé emozioni, pensiero critico, desideri, sorprese. Un cinema che si accorda anche col desiderio del ritorno in sala dichiarato dalla 79a Mostra – anche se ha festeggiato i suoi novant’anni – in questa prima edizione a pieno regime, senza le restrizioni imposte dalla pandemia. Obiettivo centrato almeno sul Lido – vedremo per quanto riguarda la prossima stagione cinematografica cosa accadrà - con sale piene e folle davanti al tappeto rosso sollecitate dalla presenza delle molte star.
La giuria di Venezia 79, guidata dalla splendida Julienne Moore ha premiato Laura Poitras, già premio Oscar per Citizenfour, il primo film su Edward Snowden, l'analista della Nsa, che la contattò quando decise di rendere pubblici i documenti sulla sorveglianza segreta della National Security Administration. All the Beauty and the Bloodshed, che era anche l'unico documentario in gara, racconta l'artista Nan Goldin, protagonista nella scena di rivolta negli anni 80 newyorkesi, e oggi delle battaglie contro la famiglia Sackler e la sua a sua Purdue Pharma responsabile dello spaccio legale di antidolorifici oppioidi assuefanti come l’OxyContin che hanno ucciso migliaia di persone.

Per la seconda volta consecutiva il Leone d'oro va a una regista ma non è il «femminile» il senso di questo premio quanto appunto quell'indipendenza a cui Moore appartiene. La stessa indipendenza che attraversa da sempre e con passione l'opera di Luca Guadagnino, premio alla regia per il magnifico Bones and All, unico italiano nel palmarès – la Coppa Mastroianni è andata alla sua protagonista, Taylor Russell – che ha dedicato il premio a Panahi e Rasoulof, i registi iraniani in carcere, alla sovversione e al cinema che ama, un amore ribelle come quello che riempie l'on the road dei suoi due adolescenti cannibali in America.
Lavorano in profondità indocile le immagini di Alice Diop (anche premio per l'opera prima) che nel suo Saint Omer ( nei ringraziamenti in sala ha citato Audre Lorde) trova la messinscena di due figure femminili che interrogano (scuotendolo) l'ordine del mondo.
Bello il premio a Panahi, e non scontato perché il regista è in carcere, il suo No Bear rimane uno dei titoli migliori del concorso.
E se Colin Farrell nel suo duetto con Gleeson in The Banshees of Inisherin, grottesco sull'indifferenza a colpi di dita mozzate, era una delle sceltr possibili, meno si condivide il premio a Cate Blachett per la sua performance in Tar con molti primi piani di troppo.
Assai più forte la Nathalie Boutefeu protagonista per Wiseman in Un Couple: che un premio nel segno dell'indipendenza lo abbia ignorato è una vera svista, la sua libertà ne è un manifesto.

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