VISIONI

Il caso Braibanti, nell’animo oscuro dell’Italia anni sessanta

«IL SIGNORE DELLE FORMICHE» DI GIANNI AMELIO
ANTONELLO CATACCHIOITALIA/VENEZIA

Anno 1968. Il mondo sta conoscendo rivolgimenti di ogni tipo. Il panorama sta cambiando sotto ogni cielo. Soprattutto i giovani mettono in discussione tutto quel che sino a quel momento era stato dogma intoccabile. Contro ogni logica sia dei tempi che del buon senso, di solito sempre invocato dai benpensanti, in Italia si concluse un processo grottesco che condannò Aldo Braibanti a nove anni di reclusione (poi ridotti a sei infine due scontati). Unico caso in cui il reato di plagio, previsto dal codice Rocco, venne applicato prima di essere abolito per sempre. Una specie di caccia allo stregone rappresentato da un signore coltissimo, curioso, innovatore, mirmecologo etichettato all’epoca solo come pederasta. Perché questo era il termine che si usava, il termine gay era là da venire così come non era diffuso quello di omosessuale, al massimo si usava l’ambiguo invertito. La sua «colpa» era quella di amare, ricambiato, un giovane di 23 anni. Gianni Amelio con Il signore delle formiche, in concorso, ha voluto andare a ripescare quell’obbrobrio «magistrale» per far conoscere quel che successe, ma più ancora per mostrare le distorsioni di una società che nascondeva e coltivava un animo oscuro. Ecco allora il torrione di Castell’Arquato dove raccoglieva giovani per fare sperimentazione artistica, prima del ritorno a Roma. Già perché Braibanti è stato un personaggio singolare, già partigiano, poi membro poco tollerato del Partito Comunista, soprattutto importante per il suo lavoro di ricerca che investiva il teatro e le altre discipline artistiche per sperimentare nuovi sbocchi e nuovi linguaggi.
PER QUESTO era entrato in contatto e aveva collaborato con personaggi del calibro di Carmelo Bene, Sylvano Bussotti, Alberto Grifi e altri. Ma non è questa la parte privilegiata da Amelio, il focus è sull’omosessualità del personaggio e il suo rapporto con il ribattezzato Ettore. Ecco allora le scritte omofobe che compaiono sulla casa della madre, la mascella volitiva del fratello di Ettore, il sacro furore della madre del ragazzo di famiglia fascistissima, la distanziazione del partito comunista da una storia ritenuta sconveniente, insomma un personaggio stritolato da un sistema che segue regole kafkiane, ma reali. Solo i radicali manifestarono a suo favore (infatti compare un’immagine di Emma Bonino) e alcuni intellettuali come Moravia, Pasolini, Eco, Morante, i Bellocchio risposero con indignazione all’infamia di quel processo.
Amelio ha voluto fare un film più con il cuore che con la ragione. E questo è sempre apprezzabile. Ha anche voluto mostrare alcune cadute di stile di Braibanti, prima che si chiudesse in un dignitoso silenzio. Ha raccontato le traversie di Ettore, devastato dagli elettroshock, quasi si volesse estirpare il demonio che si era impossessato del ragazzo, in realtà devastandolo seriamente. La vicenda narrata non punta tanto sulla personalità e sulla visione complessiva di Braibanti, ma sul fatto che sia stato trascinato in tribunale e condannato con l’accusa di avere soggiogato psicologicamente un giovane per piegarlo ai suoi sordidi piaceri sessuali.
UN RACCONTO vero, ma parziale, Braibanti era una figura culturalmente esplosiva ma mite, un intellettuale raffinato, uno studioso segnato da una vicenda giudiziaria e storica molto più grande di lui. Ma troppo del personaggio Braibanti rimane fuori scena, o è solo accennato. Nonostante l’interpretazione di Luigi Lo Cascio che prende anche un accento emiliano. E assume così una sua valenza singolare il personaggio di Elio Germano, cronista dell’Unità (con nome cambiato), esautorato dalla direzione del giornale per la sua empatia nei confronti di Braibanti, contrapposto al militante calabrese che non accetta l’idea di omosessualità.
FORSE era proprio questa libertà narrativa che ha cercato Amelio. Libertà nel voler partire da una storia tristemente vera, per raccontare ai più giovani cosa abbia significato essere omosessuali negli anni 60. E non solo in Italia. In Gran Bretagna l’omosessualità maschile non fu più reato solo dal 1967, in Germania Est fu abolito proprio nel 1968, in Germania Ovest l’anno successivo. Per comprendere e conoscere la questione esiste un documentario di un paio d’anni fa, Il caso Braibanti di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese (su SkyGo e Prime Video), che affronta storicamente e culturalmente in modo puntuale la figura di Braibanti.

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