VISIONI

«The Eternal Daughter», il fantasma della madre nell’emergere di un’immagine

IN COMPETIZIONE IL LAVORO DI JOANNA HOGG CON TILDA SWINTON
CRISTINA PICCINOITALIA/VENEZIA

Joanna Hogg è una regista il cui stile si è imposto dal lavoro che l'ha affermata, quel The Souvenir (2019) a cui è seguita una seconda parte, coccolatissimo dalla critica internazionale e dai programmer festivalieri e divenuto un riferimento per il lavoro di tanti giovani registi. Che cosa raccontava The Souvenir? Una storia d'amore tra due giovani negli anni Ottanta in Inghilterra devastata dalla dipendenza di lui. La protagonista - che era interpretata da Honor Swinton Byrne, la figlia di Tilda, anche lei presente nel film - era una studentessa di cinema e in filigrana Hogg creava una corrispondenza tra il proprio vissuto e la sua narrazione. In questa «autofinzione» che si dichiara come un lavoro sulla memoria nel quale ritrovare le tracce di un'epoca e spesso di emozioni comuni oltre a una ricerca di sé, si inscrive anche The Eternal Daughter, incentrato sulla relazione madre e figlia nella sua complessità viscerale, e su cosa significa per una figlia - proprio per questa caratteristica unica del legame - la morte della madre. The Eternal Daughter, l'eterna figlia, e non si può non pensare al magnifico film di Chantal Akerman No Home Movie (2015) nel quale la regista ricostruendo la memoria materna dichiarava anche il suo essere figlia per sempre, e l'impossibilità (forse) di definirsi in altro modo.
È DUNQUE un film sulla morte e sul lutto The Eternal Daughter, «celato» dietro a una confezione di genere- gotico di cui dissemina i segni: nebbie, scricchiolii, tonfi, finestre che sbattono, ombre senza volto in questa residenza che la leggenda vuole abitata dai fantasmi, divenuta un hotel di lusso ma in apparenza senza clienti e con una ragazza alla reception dai modi bruschi. È qui che arrivano Julie (lo stesso nome del personaggio di The Souvenir) e Rosalind – entrambe interpretate da Tilda Swinton – sono madre e figlia che insieme al cane della prima passeranno qualche giorno insieme aspettando il compleanno di Rosalind. Julie è una filmmaker, sta lavorando a un film su sua madre, raccoglie vecchie fotografie e storie che la donna le racconta senza troppo capire il perché le interessano. A volte la rimprovera di conservare ogni cosa e le ha portato per questo un sacchetto pieno di «ricordi». Quei ricordi sono per lei anche dolorosi, la riportano a lutti, traumi, a giorni difficili, come la guerra, specie lì nell'hotel un tempo dimora di una parente dove li avevano mandati ancora piccoli per proteggerli dai bombardamenti. Julie è inquieta, ansiosa, spia la mamma di continuo pronta a cogliere il segno di un malessere o di un desiderio inespresso che può soddisfare. Voglio che tu sia felice le ripete fino alle lacrime. E anche di questo Rosalind la rimprovera, dice che è assillante e che se forse avesse avuto dei figli non la tratterebbe lei come una figlia ora. «I suoi figli sono i suoi film» ripete all'anziano dipendente dell'hotel che lì ha passato insieme alla moglie morta da poco la sua vita.
NEI GIORNI che si srotolano uguali tra i poco riusciti tentativi di Julie di lavorare, le sue notti inquiete turbate dai sussurri del buio e dell'antico hotel, le passeggiate col cane della mamma e la conversazioni con lei, la donna si interroga se quel che fa è giusto: si possono raccontare le esperienze dell'altro, si ha il diritto di renderle materia di un film, di condividerle con altri? E come, se l'altro non c'è più?
Chi è allora questa madre uguale a lei, in cui specchiarsi, che non riesce a andare via? Un fantasma che balena nei luoghi condivisi insieme, nell'esperienza di una intimità mai più possibile, in una perdita che si rifiuta di accettare? Nel viaggio attraverso la propria memoria condivisa con lei, in ciò che ha tenuto nella sua mente, nel suo cuore, la mano dell'anziana sul letto forse nella malattia, prima di morire, Julie compie la sua elaborazione di questa morte, del vuoto di qualcuno indispensabile il cui racconto potrà aiutarla a trattenerne la presenza.
The Eternal Daughter è un film per questo molto intimo e si fa fatica a capire la decisione di raggelarlo nella cifra gotica – persino nella grafica dei titoli di testa e di coda. La regista parla di un mistero che è quello del dolore, capiamo presto di essere nella testa del personaggio e nelle sue proiezioni che si diluiscono però perdendo la potenza emozionale in una confezione superflua, senza una vera necessità.
C.PI.

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