VISIONI

«Bones and All», due ragazzi on the road nel desiderio

Il paesaggio dell’America, la violenza della normalità, il «genere»
CRISTINA PICCINOITALIA/VENEZIA

Ieri sono arrivati sul Lido i primi titoli in concorso che danno un senso all'affanno frustrante della prenotazione dei biglietti, alle sveglie troppo presto al mattino, a tutto quanto i nuovi sistemi festivalieri «virtuali» imposti dalla pandemia hanno eliminato in termini di improvvisazione e composizione del proprio personalissimo palinsesto: Une Couple di Frederick Wiseman e Bones and All di Luca Guadagnino, universi (cinematografici) diversissimi ma con l'affinità di sorprendere e di sfuggire a qualsiasi etichetta. Di Bones and All, che è stato subito tra i più attesi, si sapeva già qualcosa, i protagonisti entrambi magnifici, Taylor Russell e Timothée Chalamet – nel cast ci sono anche dei sorprendenti Chloe Sevigny e Mark Rylance – il romanzo a cui era ispirato, YA di Camille De Angelis sul quale Guadagnino ha lavorato col «suo» sceneggiatore, David Kajganich, il set per la prima volta in America, e che raccontava di due ragazzi cannibali in cerca di un modo, nonostante la loro natura, per essere nel mondo. Ma Bones and All primo film italiano dei cinque in gara - sorprende tutto con un melodramma on the road raffinato e sensuale giraton in pellicola (la fotografia è di Arseni Khachaturan) che lavora coi corpi dei suoi attori, come sempre più raramente si vede oggi, esaltandone il talento.
NON È semplicemente il cinema di «genere» il riferimento di Guadagnino (non a caso viene in mente un film come Trouble Every Day, 2001, di Claire Denis) sin dalle primissime sequenze che affermano una volta in più il suo talento di regista senza il bisogno di «gonfiare» le proprie immagini: gli basta il cinema, il suo respiro, il la messinscena che ne conosce segreti e con passione non si ripiega mai su se stessa. Era lo stesso in Suspiria dove il tradimento» amorosissimo del film di Argento apriva nuove piste di ricerca, suggestioni politiche, altre interpretazioni emozionali. Qui la storia dei giovani cannibali disegna una geografia dell'immaginario, l'America del mito in cui il registra si muove seguendo le tracce della sua cinefilia, e nel battito di un'emozione contemporanea, universale, che mischia ogni genere possibile, ne tradisce i limiti, si fa segno di una invenzione e di una rottura come lo sono quelle due figure che vi vagabondano messe ai margini dal loro desiderio.
Quale è dunque il segreto che condanna a cambiare casa, scuola, città da quando è bambina cresciuta senza madre, col padre che ne vigila ogni gesto Maren (Russell)? Qualcosa che si nasconde nella sua infanzia, che lei ha cancellato dalla memoria e continua a rimuovere, a dimenticare. Finché una sera accade di nuovo, tra le sue nuove amiche azzanna il dito profumato di smalto alla vaniglia della ragazzina sdraiata accanto a lei e corre via. Sarà un altro abbandono, le valige fatte in fretta, l'ennesima casa squallida di una marginalità. Insieme alla scoperta che al mondo questo suo «male» non è unico: ci sono altri come lei, si possono «fiutare» tra di loro, riconoscere anche a distanza e senza dirsi nulla come accade con quel vecchio vestito da tirolese (Rylance) che vorrebbe proteggerla ma da cui la ragazza fugge, e con quel ragazzo bello, sofferente, magrissimo Lee (Chalamet) col quale sceglie di dividere la strada, la scoperta, il viaggio dentro di sé che compiranno insieme.
Bones and All è una storia d'amore e un on the road nella sua «tradizione» più classica che attraversa accompagnato da una colonna sonora modulata senza insistenze le grandi pianure del Midwest, fuori dalla metropoli, nei suoi orizzonti del mito, le gas station, i motel, i furgoni dove dormire, vivere, baciarsi, il deserto. La strada dei due ragazzi è solitaria perché quella è la loro condizione, gli altri, i «normali», che negli incontri casuali diventano a volte cibo, non potrebbero accettarli sono mostruosi, e sono un pericolo, ma anche da chi è come loro si deve fare attenzione, potrebbero ucciderli per divorarli.
Maren vorrebbe sottrarsi, Lee sembra invece più sicuro quasi sorpreso dalla sua consapevolezza arrivata così tardi. Lei cerca sua madre, l'origine della sua storia, il padre di Lee è scomparso ma il ragazzo parla poco di sé o della famiglia e della cittadina da cui è fuggito e dove torna solo qualche volta quasi di nascosto per ritrovare l'amatissima sorella. In quel paesaggio senza riferimenti, dove ogni posto sembra uguale agli altri, i due ragazzi si inseguono, si perdono, si ritrovano, condividono lacrime e dolcezza, la violenza del sangue e della carne, di una pulsione che gli intossica la vita, che li schiaccia in un assoluto da cui è quasi impossibile fuggire.
«LE OSSA e tutto», il «pasto completo», l'esperienza sublime gli dice uno di loro, uno dei tanti redneck impastati di violenza e razzismo, con l'amico poliziotto voyeur che ama guardarlo mangiare e anche se non ne ha bisogno lo fa lo stesso. Che America è questa reaganiana degli anni Ottanta di cui arrivano gli echi dalle tv?L 'America di Giuliani e dell'Aids che chiede di reprimere, di censurare, reprimere, condannare ogni libertà specie sessuale? Chi divora chi? Quale violenza, quale dolore , chi sono a subirli?
Lee piace ai maschi e alle ragazze, ha una fisicità fluida, Maren è afromericana, lei e Lee sono complici, amici, amanti: proviamo a essere per un po' «normali» dice la ragazza, ma cosa significa esserlo in quel mondo? Come tutti devono lottare, uccidere, sporcarsi di sangue, ma prima di ogni altra cosa accettarsi, esistere per chi sono: We Are Who We Are, «mi sono chiesto chi sei» ha lasciato il padre a Maren nella sua cassetta di addio.
POTREBBE scomparire e farsi rinchiudere Maren, come le scrive la madre (Sevigny) nella lettera che ha tenuto per lei quindici anni, impazzita per sfuggire a se stessa. O lottare per vivere. Lei e Lee sono come un insieme che si completa, possono esistere solo uno insieme all'altra, un legame esclusivo, assoluto, che intreccia respiri, sogni, paure, pensieri, che rende unici, un unico copro, un nato d'amore sublime e disperatamente bellissimo. In questo intreccio Guadagnino costruisce questo incontro che ne racchiude infiniti altri, e nelle filigrane di ciascuno afferma la necessità di un’indipendenza del cuore e delle emozioni, della vita. Un gesto d’amore come è quello che dichiara il suon cinema.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it