POLITICA

Giorgia e Matteo amici-nemici: nuovo scontro sui migranti

Entrambi in Sicilia, si dividono sulle misure per fermare gli sbarchi. Salvini: «Sarei onorato di presiedere il primo Consiglio dei ministri»
MARINA DELLA CROCEITALIA/SICILIA

Da spauracchio buono per alimentare le paure degli elettori e conquistarne così il consenso, a pretesto per affermare la propria leadership. Sebbene sia ormai chiaro a tutti che, al contrario delle ultime elezioni, l’immigrazione non è più il tema su cui puntare in campagna elettorale (tanto più in tempi di bollette capaci di mettere in ginocchio famiglie e imprese) Giorgia Meloni e Matteo Salvini continuano a dividersi sui provvedimenti da adottare per fermare gli sbarchi nel caso - sempre più probabile - il 25 settembre il centrodestra dovesse uscire vittorioso dalle urne. Salvini è sicuro: per fermare i barconi dei migranti «non servono blocchi navali, basta riapplicare i decreti sicurezza», afferma attaccando la proposta «simbolo» di Giorgia Meloni. Che a sua volta conferma e rilancia: «Il blocco navale come atto di guerra è una fake news - dice parlando al mercato Vascone di Messina - Si deve fare una missione europea in collaborazione con le autorità libiche».
I due leader ieri si trovavano entrambi in Sicilia per una sere di appuntamenti elettorali. Una coincidenza, ma utilizzata per un incontro veloce al circolo del tennis di Messina al termine del quale Salvini pubblica su Facebook quella che, più che una fotografia, sembra una cartolina nella quale appare sorridente abbracciato a Giorgia Meloni con alle spalle il mare. «La migliore risposta alle invenzioni della sinistra su presunte divisioni», commenta lei ritwittando l’immagine.
Sorrisi a parte, la concorrenza tra i due c’è e si vede. Soprattutto nella parole di Salvini, a dir poco ansioso di sedersi a palazzo Chigi al posto dell’alleata rivale. «Per me sarebbe un onore presiedere il primo consiglio dei ministri», dice senza troppi giri di parole. Poi il consueto attacco alla titolare del Viminale per gli sbarchi a Lampedusa. «I flusso dei migranti sta registrando numeri preoccupanti ma il ministro Lamorgese dove sta?», chiede. Seguito su questo terreno dalla leader di FdI che accusa la sinistra: «Non tollera che qualcuno voglia difendere i confini e fermare la tratta di esseri umani verso l’Italia».
Del resto è sempre meglio parlare di migranti piuttosto che di altro. Ieri era il 31esimo anniversario dell’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso dalla mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo, mentre tra pochi giorni, il 3 settembre, saranno passati 40 anni da quando Cosa nostra uccise a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa insieme alla moglie e a un agente della scorta. Né Salvini né Meloni però li ricordano, impegnati per tutto il giorno a fare promesse agli elettori. Anche se i sondaggi sono generosi, Meloni deve farsi perdonare la decisione di abolire il reddito di cittadinanza in una regione in cui, dato Inps, viene riconosciuto a 625 mila siciliani. La leader di FdI vorrebbe sostituirlo con le «utenze di cittadinanza» perché, spiega a Catania nel corso di un comizio, «i cittadini non possono restare senza energia a casa».
Ma tra le promesse rispunta anche il Ponte sullo Stretto, un evergreen buono per tutte le elezioni, che Meloni definisce come «un’opera necessaria, una grande opportunità». E poi la promessa di varare, una volta al governo, una legge «che dica che la prima casa non è pignorabile».
Da Salvini, la solita valanga di promesse. Che parte sempre dal Ponte sullo Stretto («conveniente e indispensabile») ma prosegue con l’impegno di approvare con il governo ancora in carica «un decreto da 30 miliardi di euro per bloccare gli aumenti alle bollette», di «abolire il numero chiuso alla facoltà di Medicina» per supplire alla carenza di medici e di costruire in Sicilia i termovalorizzatori: «I rifiuti non devono essere un problema - dice - ma una fonte di ricchezza e di lavoro».
Ma tra un mese in Sicilia si vota anche per l’elezione del nuovo presidente della Regione. Dopo mesi di litigi, alla fine il centrodestra si è accordato sul nome di Renato Schifani. Cosa che permette alla Meloni di assestare l’ultimo colpo agli alleati: «La coalizione - ricorda - si compatta su Schifani grazie a Fratelli d’Italia che, per il bene della coalizione, ha fatto un passo indietro su Nello Musumeci».

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