VISIONI

Musiche delle «reducciones», note sacre dalla catechesi gesuitica

FESTIVAL DELLE NAZIONI
ANDREA PENNAITALIA/Città di Castello (Perugia)

Al cuore dell’omaggio alla Spagna proposto quest’anno dal Festival delle Nazioni di Città di Castello, ha trovato posto giovedì 25 agosto una rarità di ascolto che allargava l’orizzonte alla musica delle missioni gesuitiche dell’America del Sud. Sul palco montato nella chiesa di San Domenico l’Ensemble Elyma guidato dal suo fondatore Gabriel Garrido ha riportato in vita le musiche delle reducciones, le missioni attraverso le quali i gesuiti sin dal primo Seicento avevano sviluppato esperimenti di convivenza con le popolazioni native nelle terre invase da Spagna e Portogallo: pur nel quadro dell’evangelizzazione forzata di popoli indigeni strappati al nomadismo, l’intervento gesuitico confliggeva col colonialismo schiavistico delle imprese europee, tanto da contribuire alle soppressioni sfociate poi nello scioglimento dell’ordine nel 1773.
ALFABETIZZAZIONE, teatro e musica erano alla base del percorso di catechesi gesuitica e il concerto illustrava sia gli esempi della produzione sacra maggiore che alcuni brevi esiti di sincretismo fra forme musicali europee e locali, con due estratti dalla Suite ‘chiquitana’ Ychepe flauta e l’antifona processionaria Yyai Jesucristo. In quest’ultima spiccavano i flauti e il bombo legüero, tamburo ricavato dal tronco del ceiba, il cosiddetto albero del corallo, strumenti che arricchivano l’orchestrazione della Misa a San Ignacio e soprattutto dell’opera sacra San Ignacio del compositore Domenico Zipoli, fratello laico della Compagnia nato a Prato nel 1668 e sbarcato nelle colonie nel 1717, dove morì nel 1726. Messa e oratorio contano fra le migliaia di partiture custodite a San Ignacio de Moxos in Bolivia, oggetto dagli anni Ottanta di riscoperta e ricerche musicologiche.
SIA LA MESSA a tre voci, due violini e continuo, mancante dell’Agnus dei e integrata per Kyrie e Gloria da un altro lavoro di Zipoli, la Misa de Potosì, che la più cospicua opera sacra mostravano un’elaborazione spesso semplificata di modelli del primo Settecento, in cui ampio spazio era riservato a melodie languide e piane, senza eccessivi indugi in agilità melismatiche o sviluppi contrappuntistici. Risaltava piuttosto il gioco d’impasti timbrici fra archi, fiati e percussioni di ascendenza locale, frutto dell’apporto dei nativi, che insieme ai contributi dei gesuiti Anton Sepp e Martin Schmid costituiscono l’aspetto più peculiare del San Ignacio. Le tre sezioni, con i tormenti mistici del santo, la vittoria sul demonio e il saluto a Francesco Saverio in partenza per le missioni d’Oriente nel finale, mostrano una ricca varietà di arie con da capo, ariosi, duetti e terzetti, articolati in un libretto dal linguaggio semplice e efficace. Con la perizia tecnica e il fervore affettuoso connaturati alle esecuzioni di Garrido, l’Ensemble Elyma ha accompagnato le voci di Barbara Kusa, Ignazio, Maximiliano Danta, Saverio, il demonio di Franco Celio Cioli e i messaggeri di Maura Giavon e Maximiliano Baños, tutti salutati dal lungo applauso del pubblico.

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