VISIONI

Uno sciamanesimo nuovo per difendere l’Amazzonia

L’artista brasiliana Gabriela Carneiro da Cunha racconta il suo spettacolo sul fiume Xingu minacciato
LUCREZIA ERCOLANIbrasile/ITALIA/SANTARCANGELO DI ROMAGNA

«Per me non si tratta di teatralizzare l’Amazzonia, ma di ‘amazzonizzare’ il teatro» spiega Gabriela Carneiro da Cunha, artista brasiliana che è passata in Italia con il suo spettacolo Altamira 2042 all’ultimo festival di Santarcangelo. E un neologismo non è certo fuori luogo per un lavoro dove antico e moderno si fondono in maniera inattesa nel tentativo di cercare un linguaggio che possa parlare ad entità differenti. C’è il grande fiume Xingu, che scorre in Amazzonia, ma che è soffocato dalla diga di Belo Monte, un’opera votata al profitto di pochi che sta causando gravi danni all’ecosistema e agli abitanti della città di Altamira, situata in quell’area.
SONO proprio coloro che abitano lungo le rive del fiume a prendere la parola durante lo spettacolo, le immagini con i loro volti raccontano di uno sfruttamento le cui origini si sono perse nel tempo. Il proiettore Carneiro da Cunha lo controlla con i movimenti del suo corpo, in una fusione tra umano e non umano che è al centro della sua poetica. «La possibilità di imparare da ciò con cui si lavora è sempre presente. Il territorio e il fiume mi hanno insegnato diverse cose, la prima è che non conoscevo il linguaggio per comprenderli. All’inizio non mi piaceva chiamarlo teatro, ora invece sì, perché il teatro può essere moltissime cose e credo che sia anche questo». C’è da dire però che il portato politico di Altamira 2042 è talmente forte da far scivolare in secondo piano alcune forme della rappresentazione tradizionalmente intesa. In un crescendo di partecipazione emotiva - e fragorosa - da parte del pubblico, lo spettacolo si trasforma ad un certo punto in un rituale collettivo, una sorta di tecno-sciamanesimo per tempi critici. Al punto che la scelta dell’artista di non uscire a ricevere gli applausi appare del tutto appropriata e naturale. Carneiro da Cunha la spiega con queste parole: «Da un certo punto in poi, lo spettacolo lo faccio insieme al pubblico. Certo, ci sono io che in qualche modo lo conduco, ma è comunque un’azione collettiva. Lavorando intorno al concetto di antropocene sento l’esigenza di togliermi dal centro, altrimenti tratterei il fiume Xingu dall’alto di una relazione soggetto-oggetto e non è questo che mi interessa».
In questa linea rientra anche l’ambiente in cui si svolge Altamira 2042: non c’è alcun palco, gli spettatori sono invitati a sedersi per terra, disponendosi per tutta l’ampiezza della scena. In vari punti sono collocate delle casse stereo, quasi dei trasmettitori in contatto con un’altra realtà, che fanno rimbombare i suoni del fiume con gli uccelli, gli insetti, lo scorrere delle acque.
NON SI TRATTA però di dare voce allo Xingu: «Ne ha già una, con la quale sta urlando da tanto tempo, il problema è che non viene ascoltato. Quindi piuttosto che dare voce, il punto è restituire l’ascolto a chi l’ha perso, per riattivare questa tecnologia antica che tutti possediamo». Un’operazione affatto simbolica per l’artista, ma piuttosto un intervento dai risvolti concreti. «L’obiettivo che voglio raggiungere è veramente la rottura della diga. Alla fine dello spettacolo, quasi come si trattasse di science-fiction mettiamo in scena il fiume che scorre nuovamente libero, immaginando che questo accadrà nel 2042. Spero naturalmente che succederà prima. Ma anche se siamo distanti, per me si tratta realmente di aprire una piccola crepa nella diga ogni volta, collegandoci con coloro che sono vicino allo Xingu e con il fiume stesso. Mi piace pensare al lavoro artistico in questo modo: i gesti e l’immaginario possono far succedere qualcosa nella realtà».
Un augurio che cade in un periodo nero per il Brasile, oltre che per i territori indigeni della foresta anche per la comunità artistica. «Non c’è una vera e propria censura ma è stato reso impossibile agli artisti di vivere, eliminando tutti i mezzi che c’erano per lavorare, e alimentando una narrazione per cui sono una minaccia per la società. Bolsonaro ha subito capito che eravamo suoi nemici, speriamo di liberarcene al più presto».

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