COMMENTO

Il precipizio del voto e le forzature di Mattarella

Elezioni
GIAN GIACOMO MIGONEITALIA/ROMA - ITALIA/ROMA

Da quando ho letto il decreto di scioglimento delle Camere e la data delle prossime elezioni, tassativamente fissata per il 25 settembre, penso alla canzone di Boris Vian, cantata da Fossati.
«In piena facoltà, Egregio presidente, Le scrivo la presente, Che spero leggerà, La cartolina qui Mi dice terra terra, Di andare a far la guerra, Quest’altro lunedì».
Da quando ho letto il decreto di scioglimento delle Camere e la data delle prossime elezioni, tassativamente fissata per il 25 settembre, in applicazione di una legge elettorale di dubbia costituzionalità, non riesco a togliermi dalla mente questa canzone di Boris Vian, interpretata da Ivano Fossati. So bene che quelle righe sono state scritte per spiegare il rifiuto di una guerra, quella d’Algeria, mentre la nostra siamo impegnati a prolungarla, facendola combattere da altri.
So anche che a me si chiede soltanto di riempire una scheda elettorale, e nemmeno di lunedì, soltanto di domenica, forse per paura di incrementare la partecipazione al voto. Eppure la violenza usata nei confronti del cittadino elettore, detentore della sovranità costituzionale, è feroce.
Quello che deve costituire l’esercizio di un supremo diritto, per il modo in cui viene imposto, si traduce in una deprivazione. Tutto ciò costituisce un pericolo che trascende le miserie quotidiane dei patti elettorali che ne sono le salmerie e che non può non essere denunciato con chiarezza.
Contrariamente ad una prassi consolidata, secondo cui il presidente della Repubblica è tenuto a constatare l’inesistenza di una maggioranza parlamentare prima di ricorrere alle urne, questa verifica non è stata effettuata, scambiando l’indisponibilità, soltanto formalmente legittima, del presidente del consiglio in carica con l’inesistenza di un quorum di governo.
E tutto ciò a distanza di pochi mesi dalla scadenza naturale della legislatura. Una forzatura senza precedenti repubblicani, a conferma di un sinistro precedente in cui un altro presidente del consiglio in carica, Giuseppe Conte, pur avendo appena riscosso un voto di fiducia al Senato, dopo aver gestito con successo la prima fase del Covid ed ottenuto i finanziamenti previsti dall’Unione Europea, fu indotto a dimettersi per far posto al governo Draghi.
E’ ancora più grave la conseguente tempistica imposta dal decreto presidenziale che, mentre assicura ai parlamentari uscenti l’accesso al vitalizio, non consente di mettere in discussione una legge elettorale, pur cara alle segreterie di partito, che consolida il processo di indebolimento e di dequalificazione in atto dei partiti stessi e, soprattutto, del Parlamento che dovrebbero concorrere a costituire.
Si ripete l’elezione di circa un terzo dei suoi membri - i c.d. nominati - che, attraverso un meccanismo perverso determinato da premio di maggioranza e listini, sfuggono alla scelta del cittadino elettore che ne determinerebbe dignità e libertà, senza vincolo di mandato. Il risultato è già sotto i nostri occhi.
In conclusione, stiamo scrivendo un capitolo italiano dell’indebolimento globale della democrazia che segna questa fase della storia.
«Ma io non sono qui, Egregio presidente, Per ammazzar la gente, Più o meno come me».

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