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La sfida contro la destra fascista è persa in partenza

Elezioni
PIERGIORGIO ARDENI, FILIPPO BARBERAITALIA

L’editoriale di Norma Rangeri, pubblicato su questo giornale il 31 luglio, evoca fin dal titolo la necessità di un fronte capace di inglobare da Calenda a Fratoianni, inclusi Di Maio, Letta e Conte, come unica possibilità per impedire il «cappotto» e bloccare così la possibilità che le destre possano manomettere la Costituzione. Ma perché perorare in questo modo e proprio ora un’ipotesi che è di pura scuola? Un fronte siffatto richiede condizioni reali e rapporti di forza che ora sono totalmente assenti: quel poco che è rimasto del «campo largo» a guida Pd si è trasformato in un cartello elettorale, i veti incrociati impediscono la convergenza. L’ipotesi, quindi, è astratta e non considera ciò che è sotto gli occhi di tutti: il richiamo all’antifascismo ha un puro valore comunicativo, ma nessuno lavora davvero per realizzarne le condizioni. Perché richiamare qui e ora un’ipotesi di puro spirito avulsa dagli interessi e dalle scelte che stanno andando in direzione opposta? Perché, invece, non analizzare con piglio critico e analitico come siamo giunti a questo punto? Se qui siamo è perché sono decenni che l’appello al voto utile è diventato il mantra del centro-sinistra. Prima contro Berlusconi e il suo «conflitto di interessi», poi contro la Lega, per poi avere il Presidente della regione Emilia-Romagna lavorare fianco a fianco a Zaia per l’autonomia differenziata e contro la coesione nazionale.
Con elezioni convocate precipitosamente e una sinistra frammentata non è credibile richiamare il voto utile come se nulla fosse successo in questi decenni. Un’analisi siffatta dovrebbe fondarsi su una sinistra protagonista che, forte di un capitale politico autonomo e di una proposta articolata su alcuni punti chiave, potrebbe contribuire a spostare il baricentro del sistema politico, come in Spagna, o unire, come in Francia.
Se il prossimo 28 ottobre, centenario della marcia su Roma di Mussolini e dei suoi squadristi, ci troveremo al governo gli eredi diretti di quel movimento, quei «Fratelli d’Italia» post-fascisti, non sarà per via di quell’ «eterno fascismo» di cui alcuni hanno parlato e contro cui l’editoriale di Norma Rangeri richiama un fronte politico unito. Perché il fascismo in Italia non è eterno: semplicemente non è mai morto. Perché il nostro paese non ha mai fatto i conti con il suo passato, che già a suo tempo non fu capace di chiudere con il regime deposto, perché troppi vi avevano trovato una collocazione accettabile e troppi vi erano compromessi. Se per cinquant’anni la destra fu relegata nell’angolo, il fascismo vi rimase imbricato, mentre il conservatorismo democristiano sapeva chiamare a sé, pur con qualche ammiccamento, le tendenze del corpo sociale più retrive.
Con il signor B., è storia nota, queste vennero «sdoganate», mentre anche a sinistra si celebrava il nuovo mondo post-ideologico della democrazia «compiuta». Anche il conservatorismo contemporaneo, in Italia come in molte democrazie, aveva perso il polso. E però, di fronte all’evidenza che il capitalismo globalizzato non può che favorire élite ristrette, emarginando tanto le classi popolari che i ceti medi proletarizzati, ha capito che coltivando una prospettiva nazionalista («sovranista») e accarezzando quella autoritaria, può farsi, spregiudicatamente, paladino degli esclusi (mettendo i poveri gli uni contro gli altri) in nome della prosperità perduta. Le classi popolari non guardano più a sinistra? A destra trovano il conforto della promessa di protezione, forte con i deboli e debole con i forti, mentre nel centro-sinistra si parla di «diritti», di «giovani» e di «donne». I conservatori non si turano più il naso: ben vengano i red-neck degli hinterland, i coatti delle periferie, i «perdenti della globalizzazione» delle aree marginalizzate, se ci faranno restare al potere. Una destra «forte», che unisce una politica identitaria e classista, concessioni all’evasione fiscale e protezionismi. Con buona pace del centro-sinistra, oggi a difesa dei ceti medi, senza più le perdute classi popolari e bloccato dai veti incrociati.
Se il «populismo» del M5S aveva attratto larghe masse disilluse dalla sinistra, la prossima tornata elettorale vedrà l’epilogo di tale spostamento sotterraneo: una destra che «attrae» anche quei ceti popolari che non credono più alle prospettive riformiste e un centro-sinistra che può solo contare sull’astensione per non trovarsi di fronte al «cappotto».

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