VISIONI

Sogni, incubi e visioni: le (troppe) vite senza compromessi di Sophie

«SURFACE», LA SERIE DI APPLE TV CREATA DA VERONICA WEST
MAZZINO MONTINARIUSA

Giunta al terzo episodio, il quarto sarà rilasciato domani, Surface, la serie di Apple Tv creata da Veronica West e che ha per protagonista Gugu Mbatha-Raw, è uno di quei prodotti che in corso d’opera non consente particolari spoiler. Nel senso che anche se dopo qualche puntata decidessimo di rivelare qualcosa, sveleremmo delle false piste, degli indizi pronti a essere rovesciati in qualcosa d’altro nel capitolo successivo. Il nucleo del racconto è semplice. Sophie ha tentato il suicidio gettandosi da una barca. È stata ripescata dai soccorritori, rianimata e riportata in vita giusto in tempo per ricominciare da capo. Un nuovo inizio nel vero senso del termine, perché Sophie ricorda poco dell’incidente e ancora meno di tutta la vita che l’ha condotta a quel tragico momento.
UNA DONNA, dunque, e la sua identità da ricostruire tra un marito premuroso, un’amica sempre presente e una psicologa che cerca di far capire alla paziente angosciata che il passato, se non torna a galla, può essere messo da parte per dare spazio a ciò che sarà, a un futuro che ha il pregio della sorpresa e dell’inatteso. Il fatto è che al contrario di quanto suggeriscano la terapeuta e le persone prossime a Sophie, il presente continua a reclamare incessantemente il ricordo di ciò che è già stato. Lo esige senza compromessi, in forma di flash, di sogni, di incubi, di visioni. E attraverso fobie e scoperte più o meno casuali. «Chi ero io?» vince su «chi sarò?».
Una vita che apparentemente non mostra elementi per comprendere un gesto così determinato e definitivo come può essere quello del suicidio. E questo è il primo punto su cui si interroga Sophie e chi inizia a proporle una versione alternativa della vicenda. In altre parole, se una persona conduce un’esistenza perfetta, perché mai dovrebbe tentare di uccidersi? Forse sulla barca era presente qualcuno che ha dato una spinta affinché la sua vita avesse termine?
Da qui inizia la vera serie, non quella esistenziale e intimista che propone una versione patinata della ricerca dell’Io. Parte un thriller nel quale tutto è possibile. Rendendo vano, come detto, ogni forma di spoiler. È stato un suicidio? È stato il marito? Forse l’uomo che gira intorno a Sophie e che sa qualcosa di importante, è coinvolto più di quanto faccia credere?
CIRCONDATA da bellezza e ricchezza, in una San Francisco che pare divisa in due tra quartieri sfavillanti e zone d’ombra, il benessere messo in mostra da Surface richiama alla memoria una serie come Big Little Lies. Non solo perché in entrambe compare in veste di produttrice esecutiva Reese Witherspoon, ma proprio per questo modo di opporre una forma solare dell’esistenza che si rivela mera superficie a una più cupa che dovrebbe donare più spessore e senso della realtà alla vita stessa. Se, però, in Big Little Lies la dialettica tra positivo e negativo rende l’indagine, il giallo, un mero espediente narrativo dal quale potersi svincolare in qualsiasi momento, in Surface, almeno in questa fase iniziale, l’intreccio poliziesco e il possibile crimine diventano la gabbia nella quale l’intero racconto ha trovato rifugio. E così tra una scena e l’altra si sommano potenziali colpi di scena, sballottando lo spettatore da una prospettiva all’altra.
Il limite di Surface, quindi, sta proprio nell’abbandonare presto l’idea di partenza per imporre la continua congettura, il parere che trova fondamento solo nell’emozione del momento e nell’arbitrio capriccioso degli autori. Come se ci trovassimo a Cabot Cove nel Main ospiti di Jessica Fletcher, e chiedessimo alla celebre Signora in giallo di rivelarci il colpevole.

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