CULTURA

L’irrisolta contraddizione di un mondo diviso tra «inclusi» ed «esclusi»

«NEOPLEBE, CLASSE CREATIVA, ÉLITE. LA NUOVA ITALIA» DI PAOLO PERULLI E LUCIANO VETTORETTO
FRANCESCO ANTONELLIITALIA

Uno degli elementi più importanti alla base della costruzione del movimento operaio e della sinistra nel Novecento è stato quello dell’alleanza tra classe operaia e intellettuali. Tema tra i più strategici e problematici, al centro delle riflessioni di Antonio Gramsci come di tanti altri teorici e politici del «Secolo breve», può essere letto anche in una chiave sociopolitica più generale: quanto pesano i ceti medi (ai quali appartengono gli intellettuali) nelle dinamiche di trasformazione e di conservazione della società? Entro quali condizioni e limiti è possibile costruire un’alleanza «progressista» con questi soggetti sociali dati per spacciati dal marxismo classico e invece risultati, già a partire dalla seconda rivoluzione industriale, in continua espansione?
NELLA SOCIETÀ contemporanea che ha conosciuto la svolta post-industriale, il neoliberismo, l’ascesa e il declino della globalizzazione, queste domande continuano ad essere fondamentali. Per rispondere occorre però sviluppare un’analisi approfondita del modo in cui le disuguaglianze si strutturano, dando vita a soggettività profondamente diverse da quelle tipiche della società di classe ma certamente lontane da quell’idea diffusasi a partire dagli anni Ottanta del Novecento secondo la quale il mondo occidentale - e l’Italia - stavano andando verso la creazione di una vasta società di ceti medi, più individualizzata e via via meno diseguale. Un contributo importante in questo senso lo danno Paolo Perulli e Luciano Vettoretto con il loro ultimo libro Neoplebe, classe creativa, élite. La nuova Italia (Laterza, pp. 208, euro 19).
SECONDO I DUE STUDIOSI, tramontate le società nazionali nelle quali le disuguaglianze si strutturavano in classi sociali, il capitalismo globale avrebbe diffuso nuove tecnologie (digitalizzazione), favorito più ampi processi di mobilità internazionale e creato, in ultima analisi, un intreccio complesso tra processi di sviluppo e creazione di nuove disuguaglianze sociali. Dentro e fuori le nazioni. Tre sono le grandi fratture sociali che si sarebbero così create: quella tra «inclusi» ed «esclusi» dai benefici della globalizzazione; tra «cosmopoliti» e «locali» rispetto al proprio raggio d’azione e mentalità; tra «estesi» e «concentrati» per quanto riguarda il fenomeno dell’inurbamento.
AL POSTO DELLA SOCIETÀ di classe ci troveremmo così di fronte ad una nuova triade sociale composta da un’élite del potere (manager, politici, grandi imprenditori), una classe creativa (formata da nuovi ceti medi) e una neoplebe (costituita dai vecchi ceti popolari e dalle «classi di servizio» degli altri due soggetti). Analizzando i dati Istat e quelli di Eurostat, risulta che il nostro paese, caratterizzato dal permanere di una tarda ed ormai usurata società industriale, sarebbe caratterizzata da un’élite sempre più ristretta ma anche più localista e meno qualificata rispetto al resto d’Europa; da una classe creativa in continua espansione ma lontana dai centri reali di potere; e, soprattutto, dall’espansione – in controtendenza con l’Europa del Nord ma in linea con quella del Sud e dell’Est – di una neoplebe sempre più precaria e deprivata (tra l’altro, particolarmente presente nel Mezzogiorno d’Italia).
SE DA UNA PARTE questa composizione sociale riflette la permanente difficoltà dell’Italia a trovare una propria via d’integrazione nel mondo globale, dall’altra segnala la necessità di ricomporre una nuova alleanza tra classe creativa e neoplebe – alleanza oggi molto contrasta se non del tutto assente – in grado di produrre un rinnovamento della società e delle sue classi dirigenti. Un auspicio che ha già caratterizzato le speranze progressiste alla svolta del secolo, almeno da quando gli studi di Richard Florida introdussero la categoria di classe creativa nel dibattito pubblico anglosassone e del Nord Europa; purtroppo, senza gli esiti sperati.
Tuttavia, è sulla capacità di misurarsi con questa irrisolta contraddizione, che è quella relativa alla costruzione di più ampi percorsi di rappresentanza ed organizzazione politica a partire dalla strutturazione delle disuguaglianze sociali, e non più tramite la messa al centro del mito (ingannevole) dell’individuo-consumatore-cittadino slegato da tutto il resto, che si determinerà il futuro della democrazia e della sinistra nel decisivo tornante storico che stiamo attraversando.

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